Elezioni regionali: chi ha vinto e chi ha perso?

di Ennio Simeone/


 

Alla inevitabile, anche se rituale domanda “chi ha vinto e chi ha perso?” in questa tornata di elezioni regionali è impossibile dare una risposta univoca a causa delle grandi differenze di uomini, schieramenti e situazioni tra i vari territori. Un solo dato costante c’è ed è quello del Movimento 5 stelle, che conquista ovunque un solido terzo posto in una competizione alla quale partecipava con candidati poco noti e di inesistente “carriera politica”. E’ un dato di rilevanza nazionale che arriva dopo un cambiamento di rotta negli atteggiamenti e nella comunicazione di questo movimento, che emblematicamente si può identificare con la figura del giovanissimo vicepresidente della Camera Luigi Di Maio. Per il resto, è necessario analizzare i risultati regione per regione per giungere a delle conclusioni generalizzabili e soprattutto occorre attendere il risultato definitivo della Campania, dove al momento in cui scriviamo mancano ancora i dati di alcune centinaia di seggi. Prima guardiano i numeri.

 La Campania è la regione più grande tra quelle dove si è votato domenica ed anche la più controversa per la presenza di un candidato del centrosinistra, Vincenzo De Luca, il cui nome è apparso nella lista dei cosiddetti “impresentabili” stilata e resa pubblica alla vigilia del 31 maggio dalla Commissione Antimafia. Ma prima ancora che ciò accadesse, la discesa in campo di De Luca aveva fatto rumore per la sua assoluta anomalia sotto molti aspetti così riassumibili: 1.sull’onda dei successi ottenuti come sindaco di Salerno, aveva vinto le primarie del Pd in contrapposizione ai vertici regionali e nazionali del Pd, con il sostegno dichiarato di appartenenti a schieramenti di centrodestra  (tra cui De Mita) e persino compromessi con clamorose vicende giudiziarie; 2. era stato sospeso da sindaco di Salerno in base alla legge Severino per una condanna in primo grado, sia pur solo per abuso d’ufficio; 3. aveva ricevuto il sostegno in extremis, in coda di campagna elettorale, dal segretario del Pd e capo del governo Matteo Renzi (il quale alle primarie si era schierato per la candidatura di Gennaro Migliore, fresco di fuoriuscita, perciò molto sospetta, da Sel), per cui si è ipotizzato di vari arzigogoli studiati con il ministro Maria Elena Boschi per insediare provvisoriamente un vice presidente della Regione in caso di sua elezione.

Un vincitore assoluto è invece è in Puglia il magistrato  Michele Emiliano: segretario regionale del Pd, già popolarissimo sindaco di Bari, ottiene oltre il 47 per cento presentandosi come candidato di tutto il centrosinistra e con una attenzione dichiarata al Movimento 5 stelle. Neanche lui, come De Luca, può essere annoverato tra i renziani doc. E ancor meno può esserlo Enrico Rossi – più volte anzi in polemica con Renzi – che viene riconfermato con il 48 per cento alla presidenza della Toscana. Altro candidato vincente del centrosinistra è Catiuscia Marini, che in Umbria riscatta la sconfitta recente nelle comunali di Perugia e viene confermata alla presidenza della Regione. Forse Renzi può ascriversela come suo successo alla pari della elezione di Luca Ceriscioli nelle Marche su Gian Mario Spacca, ex presidente della Regione per il centrosinistra, trasferitosi armi e bagagli nel fronte opposto, dando la dimostrazione che il cambio di casacca  non paga.

Sul fronte del centrodestra il vincitore con maggior titolo è senz’altro il governatore uscente del Veneto, il leghista Luca Zaia, che (appoggiato dal Forza Italia) supera addirittura il 50% dei consensi pur avendo come avversario un altro leghista storico (poi espulso) come il sindaco di Verona Flavio Tosi, che gli porta via l’11% dei suffragi. Qui la sconfitta è la neorenziana Alessandra Moretti, che porta a casa solo il 22,9% dei voti, cioè il 14% in meno dei voti ottenuti dal solo Pd nelle europee di un anno fa con lei capolista. Perciò, con la Moretti, lo sconfitto in Veneto è Matteo Renzi, che vi si è speso molto durante la campagna elettorale fino a mostrarsi in un selfie come autista della bella candidata.

Altra sonora sconfitta per Renzi è quella subita in Liguria, dove la vincitrice delle contestate primarie del Pd, Raffaella Paita, è stata battuta dal portavoce di Berlusconi, Giovanni Toti, che per Forza Italia rappresenta il risultato migliore in assoluto. E ottiene un buon risultato il candidato della sinistra, Pastorino, ma senza che gli si possa imputare la sconfitta della Paita. .

In attesa di conoscere l’esito finale della Campania, una cosa va comunque detta: cercare di trarre un punteggio di tipo calcistico da questi risultati darebbe infantile, roba da boy-scout. Renzi ci ha provato, dicendo che il 4 a 3 sarebbe stata una vittoria per il suo Pd, per affermare subito dopo che da queste elezioni regionali non deriveranno conseguenze per il governo. I suoi fedelissimi sono pronti a vantarsi del 5 a 2, ma, come abbiamo visto, un’analisi seria dell’esito di questa consultazione porta comunque ad una conclusione certa: c’è un rifiuto della politica impostata sull’uomo solo al comando del paese, e la controprova è data dall’aumento dell’astensionismo, che ha portato la metà degli elettori a non andare a votare.  La resistibile ascesa del “rottamatore” subisce uno stop, tanto che Luigi Di Maio (M5s) può lasciarsi andare alla battuta: “Ora vedrete che proverà a cambiare di nuovo la legge elettorale”.

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