E’ morto il giornalista Giulietto Chiesa, che ci aiutò a conoscere la Russia quando era Unione Sovietica

Giulietto Chiesa alla conferenza stampa del film Zero-Inchiesta sull’11 settembre, di Franco Fracassi e Francesco Trento, presentato  alla 2° edizione del Romafilmfest all’Auditoruim Parco della Musica di Roma (foto Ansa di Claudio Onorati) 

Il giornalismo italiano perde un’altra figura di primo piano dell’informazione vissuta per molti anni in diretta da una realtà importante come quella della Russia quando era il cuore pulsante dell’Unione Sovietica: è morto Giulietto Chiesa. Nato il 4 settembre del 1940 ad Acqui Terme, dopo una breve esperienza da militante e poi da dirigente della Federazione giovanile comunista, aveva abbracciato la professione giornalistica lavorando per l’Unità, di cui era diventato corrispondente da Mosca, ruolo che poi ricoprì per la Stampa e successivamente anche per la Rai. In quel periodo ha scritto anche libri di approfondimento sull’evolversi, nel bene e nel male, di quella realtà politic

Successivamente mise quel bagaglio di esperienze anche al servizio della politica attiva, il che lo portò ad essere eletto al Parlamento Europeo nel 2003 per la lista Occhetto-Di Pietro.

Di lui il vignettista Vauro (che con Chiesa ha collaborato) ha scritto sulla sua pagina Facebook: ”Ricordo ancora i suoi occhi lucidi di lacrime a Kabul, davanti ad un bambino ferito dallo scoppio di una mina. E’ morto un uomo ancora capace di piangere per l’orrore della guerra. I suoi occhi sono un po’ anche i miei”.

 

***********Ci piace riprodurre il ricordo di un episodio della lunga e ricca carriera giornalistica di Giulietto Chiesa rievocato su Facebook dal giornalista Rocco Di Blasi. E’ un pezzo che aiuta a capire anche perché il direttore de “l’Altro quotidiano” è orgoglioso di aver indotto, parecchi anni fa, l’autore di questo articolo a dirottare la sua cultura storico-filosofica verso la professione giornalistica.  

QUELLA NOTTE DEL 12 DICEMBRE 1981

QUANDO GIULIETTO CHIAMO’ L’UNITA’ DA MOSCA

di Rocco Di Blasi

La notte del 12 dicembre 1981 ci fu il colpo di Stato in Polonia. Jaruzelski prese i pieni poteri. Facevo il redattore capo di notte e la notizia arrivò tanto tardi che riuscii a mettere solo una “manchette” di poche righe in prima pagina. Tre giorni dopo Enrico Berlinguer (foto) era alla Tv a “Tribuna politica” e ovviamente si attendeva una domanda sulla Polonia. Gliela fece Perugini, un giornalista del Gazzettino di Venezia e Berlinguer tirò fuori dai suoi appunti la frecciata sull’”esaurimento della spinta propulsiva della rivoluzione d’ottobre”. Una frecciata molto meditata perché il testo, a rileggerlo, è molto meno spontaneo di come era apparso in Tv. 

“Quello che mi pare si possa dire…è che ciò che è avvenuto in Polonia ci induce a considerare che effettivamente la capacità propulsiva di rinnovamento delle società, o almeno di alcune delle società, che si sono create nell’Est europeo, è venuta esaurendosi. Parlo di una spinta propulsiva che si è manifestata per lunghi periodi, che ha la sua data d’inizio nella Rivoluzione socialista d’ottobre… Oggi siamo giunti ad un punto in cui quella fase si chiude e per ottenere che anche il socialismo che si è realizzato nei paesi dell’Est possa conoscere una nuova era di rinnovamento e di sviluppo democratico, sono necessarie due cose fondamentali: prima di tutto è necessario che prosegua il processo di distensione… inoltre è necessario che avanzi un nuovo socialismo nell’Ovest, nell’Europa occidentale, il quale sia indissolubilmente legato e fondato sui valori e sui principi di libertà e democrazia.” A gennaio dell’82 un Comitato Centrale fece propri quei giudizi di Berlinguer. Era “lo strappo”.

A Mosca la cosa non piacque per niente. La sera del 23 gennaio, telefona Giulietto Chiesa, allora nostro corrispondente, tutto agitato: “La Tass sta per lanciare un documento contro il Pci. Che faccio?”

– Ce lo traduci e ce lo mandi.-

“Ma è lunghissimo e poi domani l’avrai comunque in Italia.”

– Lo voglio stanotte, così domani mattina ce l’abbiamo noi e ce l’ha anche Berlinguer-.

La telescrivente comincia a battere alle 23,03 (a Mosca sono le 24,03). Il telescritto comincia con “Attenzione, vi invio la prima parte del documento. Si tratta di un testo di circa 20 cartelle. Ve lo manderò man mano che lo traduco”. Segue il titolo: “Contrariamente agli interessi della pace e del socialismo”. Il documento è anonimo, quindi attribuibile al Pcus in quanto tale. Ed era una vera e propria requisitoria contro il Pci.

Fin dall’inizio: “Negli ultimi tempi la dirigenza del Pci, ha prodotto una serie di documenti che toccano questioni di principio dello sviluppo sociale moderno. Alla fine del dicembre 1981 sono state pubblicate due dichiarazioni e all’inizio di gennaio di quest’anno si è riunito il Plenum del CC e del Pci. Il plenum ha approvato le suddette dichiarazioni e ha accettato la relazione del segretario generale del partito, Enrico Berlinguer. 

Nelle decisioni del CC del Pci, negli interventi svoltivi dai compagni Ingrao, Napolitano, Reichlin, è contenuta una piattaforma che è avversa in tutte le questioni fondamentali, alla politica del Pcus, dell’Unione Sovietica, della comunità degli Stati socialisti, della schiacciante maggioranza del movimento comunisti e di tutto il movimento di liberazione.

Questo l’esordio, in tipico imperial-burocratese sovietico. Ma la ”preda“ non veniva mollata dalla prima all’ultima riga. “Pretesto per l’esposizione delle proprie posizioni sono stati per i dirigenti del Pci gli avvenimenti della Polonia, ma essi hanno toccato problemi che sono andati nell’al di là dei confini di questo avvenimento, tra cui il problema del passaggio dal capitalismo al socialismo e dei rapporti verso il socialismo oggi esistenti. Inoltre i dirigenti del Pci, senza alcun fondamento, hanno dichiarato invecchiato e svalutato tutto l’insieme delle esperienze di lotta accumulate fino ad oggi per il socialismo e per la sua costruzione. Le grandi conquiste storiche del socialismo vengono fatte oggetto di una critica in malafede, dai contorni inammissibili e ingiusti, in alternativa si propongono delle concezioni piuttosto pretenziose e, diciamolo chiaramente, astratte circa una nuova via verso il socialismo in tutto simile a quegli orientamenti opportunisti e revisionisti in cui il movimento operaio si è già imbattuto nel passato”. Schernita “la terza via”.

Giulietto traduceva e trasmetteva ma voleva anche andare a dormire. Ad un certo punto manda un messaggio: “La Tass ora dà il testo anche in inglese. Non potreste tradurlo lì?” – No – , rispondevo. Non è sadismo, è che della traduzione di Giulietto mi fidavo perché lui, da Mosca, sapeva bene come interpretare parole e concetti, alcuni minacciosi, altri decisamente risibili: “Il marxismo leninismo continua a guadagnare nuovo terreno nel mondo moderno e la sua influenza si va allargando… Ciò si manifesta nel fatto che le opere di Lenin sono state per molti anni al primo posto nel mondo per numero di traduzioni in lingue estere; l’interesse per le opere di Lenin è tuttora “crescente”.

Altre parti della “scomunica”, lette oggi, chiariscono come il pensiero del Pcus si era ossificato a tal punto da scambiare i suoi desideri con la realtà, fino a dileggiare chi, invece, cercava di aprirgli gli occhi. Parlando del periodo della costruzione del socialismo nel nostro paese, Leonid Breznev, nel suo discorso di chiusura al 26° congresso del Pcus ha detto: ”Come spesso, durante quel periodo ci venne predetta un’inevitabile sconfitta. Quante volte essi cercano di farci rinunciare agli obiettivi fissati. Quante volte i nostri nemici cercano di convincerci che stavamo sbagliando, che la nostra strada era sbagliata. E adesso? La maggior parte di costoro sono stati da lungo tempo dimenticati ma il socialismo vive! Si sviluppa, procede inflessibilmente. Alla luce di questi fatti irrefutabili le elucubrazioni del leader del partito comunista italiano, secondo il quale il mondo del socialismo ha esaurito la sua forza propulsiva e ha perduto le sue prospettive, suonano per lo meno assurde! Qualcuno davvero ha perduto la sua prospettiva e, oltre a ciò, ha perduto la propria capacità visiva!”

E poi c’era l’attacco finale: “Qualcosa di mostruoso è accaduto! I dirigenti del Pci a parole parlano del loro desiderio di lottare per la pace e nello stesso tempo calunniano la forza-cardine di questa lotta: l’Urss e i suoi alleati socialisti, il mondo del socialismo. Nel mondo contemporaneo le posizioni assunte dai dirigenti del Pci sostanzialmente significano null’altro che un serio colpo alla lotta dei popoli per la pace, contro la minaccia bellica, un tentativo di indebolire l’influenza sul corso degli eventi internazionali delle forze basilari e principali di questa lotta: i paesi del socialismo vittorioso” (tutto questo capoverso è in neretto nel testo originale della Tass).

Ma dalla scomunica emerge anche che i legami tra Pci e Pcus erano andati avanti nonostante le ripetute differenziazioni. Così che il Pcus ora denuncia “i dirigenti del Partito Comunista Italiano che dichiarano che il comunismo ha fatto il suo tempo e che da ora essi rinunciano a “legami di vecchio tipo” con i partiti comunisti e manterranno relazioni con i partiti comunisti “nello stesso modo che con altre forze socialiste, rivoluzionarie e progressiste”. I “legami di vecchio tipo” si spezzano, dunque ufficialmente solo nel 1981.

Giulietto finì di lavorare verso le quattro del mattino. Io ero lì alla telescrivente che leggevo le strisce con grandissima avidità. Alla fine ci salutammo con qualche battuta sarcastica di telex. Giulietto era preoccupato. Io ero, invece, emozionato. Mi sembrava che fosse accaduto qualcosa di molto importante. Mosca attaccava violentemente, ma “accusava ricevuta” dello strappo, che così si consolidava. E la cosa mi fece piacere.

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