E’ morto all’ospedale di Orvieto, dove era ricoverato da qualche giorno, Folco Quilici, uno dei più importanti documentaristi italiani. La notizia è stata confermata anche dal sindaco di Orvieto Giuseppe Germani. Avrebbe compiuto 88 anni il 30 aprile ed era originario di Ferrara, ma aveva casa a Ficulle, piccolo centro dell’orvietano.
Figlio della pittrice Emma Buzzacchi e del giornalista Nello Quilici, aveva studiato regia al Centro sperimentale di Cinematografia e aveva poi intrapreso un’attività cineamatoriale, dedicandosi soprattutto alle riprese sottomarine. Nel 1954 Quilici dirige il suo primo lungometraggio, intitolato “Sesto continente”, nel quale sono presenti numerose immagini subacquee che immortalano i mari dell’emisfero australe. Due anni più tardi vince l‘Orso d’Argento al Festival di Berlino con “Ultimo Paradiso“, e nel 1957 porta alla Mostra del Cinema di Venezia il mediometraggio “Paul Gauguin“, che viene presentato fuori concorso; nello stesso periodo, i suoi lavori approdano anche in televisione, con “Djerid, i tre volti del deserto“. Nel 1959 dirige “Dagli Appennini alle Ande“, che partecipa al Festival Internazionale di San Sebastian ottenendo la Concha de plata. Nel 1961 realizza “Tikoyo e il suo pescecane“, che si aggiudica il Premio Unesco per la Cultura, mentre tre anni più tardi decide di togliere il proprio nome da “Le schiave esistono ancora“, in polemica con il produttore, sia perché in disaccordo sulla scelta del titolo, sia perché all’interno del film vengono inserite diverse scene non veritiere.
Nel 1965 in collaborazione con la Esso realizza una serie di film dedicati all’Italia, con riprese dall’elicottero: in tutto, tra il 1966 e il 1978, sono quattordici i documentari che vengono portati a termine sotto il titolo “L’Italia vista dal cielo“, che contengono – tra l’altro – i commenti di figure prestigiose come Mario Praz, Mario Solkdati, Cesare Brandi, Italo Calvino, Ignazio Silone, Guido Piovene e Michele Prisco.
Anche sul fronte televisivo, i lavori sono molteplici: tra il 1964 e il 1965 va in onda “Alla scoperta dell’Africa“, mentre negli anni successivi è la volta di “Malimba“, “Alla scoperta dell’India” (serie di otto film che gli vale il Primo Premio della Critica italiana), “Islam“, “L’alba dell’uomo“, “Mediterraneo” (per il quale si avvale della consulenza dell’antropologo Levi Strauss e dello storico Braudel e che gli consente di ottenere il Premio della Critica Francese) e “L’uomo europeo“.
Nel 1971, uno dei suoi documentari della serie L’Italia vista dal cielo, “Toscana”, gli vale addirittura una candidatura agli Oscar. Nel frattempo Quilici prosegue l’attività cinematografica: nel 1971 gli viene assegnato il Premio Speciale del Festival di Taormina per “Oceano“, che si aggiudica anche il David di Donatello l’anno successivo, mentre nel 1974 il regista realizza “Il dio sotto la pelle” e ottiene il primo premio al Festival Internazionale del Cinema Marino di Cartaghena con “Fratello Mare“. A partire dal 1971, poi, è il curatore della rubrica “Geo“, trasmessa dalla terza rete Rai. Nel 1980 torna alla Mostra del Cinema di Venezia, presentando fuori concorso il mediometraggio “L’angelo e la sirena“, mentre per la televisione porta a termine “Festa barocca”. Sempre negli anni Ottanta realizza “La grande époque“, “Fenici, sulle rotte di porpora” (nel quale collabora con l’archeologo Sabatino Moscati) e “I Greci d’Occidente” (con la consulenza dell’archeologo George Vallet).
Nel 1991 Folco Quilici dirige “Cacciatori di navi“, che gli vale l’assegnazione del Premio Umbria Fiction l’anno successivo, e “Viaggi nella storia“, seguito nel 1993 da “Arcipelaghi” e nel 1996 da “Italia infinita“.
Nel 1997 si dedica alla narrativa (esperimento già rivelatosi di successo nel 1985 con “Cacciatori di navi“) scrivendo “Cielo verde“. Dopo essersi aggiudicato la Targa d’Oro Europea del cinema storico-culturale e avere portato a termine “Alpi”, scrive “Naufraghi” e “Alta profondità“.
Nel 2000 produce e dirige per la rete televisiva tedesca e francese Artè il lungometraggio “Kolossal“, cui fa seguito due anni più tardi “Pinocchio” . Sempre nel 2002 inizia a collaborare con Luca Tamagnini per la creazione di una serie di volumi illustrati dedicati alle aree protette dei mari nostrani edita da PhotoAtlante. Nel 2004 dirige “L’impero di marmo“, commissionatogli da Luce e premiato nel 2006 al Festival Internazionale del Cinema Archeologico di Agon, in Grecia (nello stesso periodo viene dichiarato personaggio dell’anno dal canale televisivo Marco Polo); sempre per Luce, nel 2010 torna dietro la macchina da presa come regista del documentario “L’ultimo volo“, cui viene assegnato il Premio Acqui Storia 2010. Gli anni Duemila si contraddistinguono, inoltre, per una ricca produzione letteraria: del 2001 è “L’abisso di Hatutu“, mentre all’anno successivo risale “Mare Rosso“, con il quale vince il Premio Scanno di Letteratura; del 2003 è “I serpenti di Melqart“, mentre del 2005 è “La Fenice del Bajkal”.
“Con Folco Quilici se ne va una delle figure più importanti del giornalismo, del documentarismo e della cultura italiana”, ha detto il ministro dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, Dario Franceschini – “Un pioniere in tutti i progetti che ha avviato, sempre anni avanti rispetto agli altri, un italiano innamorato del proprio paese e un ferrarese innamorato della propria terra, in cui era l’erede della grande tradizione giornalistica del padre Nello. Ci mancherà – sottolinea Franceschini – ma i suoi lavori resteranno per sempre come guida e insegnamento per le giovani generazioni”.
(fonte: biogragfieonline.it)
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