Da Macron a Renzi: che differenza!

 

di NUCCIO FAVA – La straordinaria vittoria di Macron ha superato di molto le incertezze e le aspettative della vigilia. Il suo commento è stato lapidario e divertente: “troppa grazia sant’Antonio” alla vigilia della festa del popolare santo portoghese noto in tutto il mondo come sant’Antonio da Padova. Segnale comunque di un leader che controlla bene le emozioni: anche una maggioranza larga può avere i suoi problemi, se fatica ad aggredire le questioni gravi e impellenti per la Francia e l’Europa. In effetti la comparsa del presidente francese sulla scena anche internazionale si caratterizza per una proposta di fiducia e di speranza per tutta l’Europa. Ridimensionare populismi ed estremismi, impostare linee positive di rinnovamento istituzionale e di nuove politiche economiche e sociali, specie a favore del dramma dell’occupazione giovanile e di un nuovo sviluppo nella solidarietà.                                                                                                                                                       Francamente più leggerino l’ex premier Renzi che nei battibecchi con Grillo mantiene un atteggiamento sprezzante al limite dell’inconcludenza. Grillo non è da meno. E commentando finalmente il voto disastroso del suo movimento, ripete la solita cantilena : i pentastellati crescono lentamente ma in modo ineluttabile, se ne accorgeranno tutti. Grillo pensa già alle prossime politiche, si svolgano anticipatamente o alla scadenza naturale. Per quanto tra la gente comune e di buon senso non sono in molti a stracciarsi le vesti per le eventuali mancate elezioni anticipate, resta però tutta intera la sgradevole sensazione di avere distrutto la complicata costruzione del tedeschellum addossandone tutta la responsabilità ai 5stelle. La nuova legge elettorale nasceva in ogni caso per opera soprattutto di Renzi e Berlusconi, con il sostegno successivo anche dei 5stelle e di  Salvini. La figuraccia maggiore l’ha però fatta il segretario Pd, che sognava elezioni anticipate a settembre. Cosa non avvenuta mai nella storia della Repubblica e che avrebbe dovuto segnare il nuovo inizio della rivincita renziana. Imbarcati tutti nella illusoria convinzione che il tedeschellum avrebbe messo d’accordo tutti a scapito dei partiti cosiddetti minori, non solo non ha raggiunto il risultato voluto, ma si lascia alle spalle cumuli di macerie. Forse anche per questo il segretario Pd si è limitato a definire buoni i risultati ma poi ha preferito recarsi ad Amatrice. Singolare modo di fare politica e rassicurare elettori e opinione pubblica sulle proprie capacità di leadership.                                                                                                                                                                                              Ben diversa la reazione di Macron, che si rivolge non solo alla Francia, ma soprattutto alla Merckel e a tutta l’Europa e al suo indispensabile rinnovato ruolo di fronte agli sconvolgimenti del presidente Usa e alla miope testardaggine della May.                                                                                                                                                              Per quanto riguarda il rinnovato segretario del partito democratico, non si può tenere ambiguamente il piede in due scarpe. Chiedere anche con arroganza la flessibilità in Europa e muoversi come un panzer nella vita del partito, nei rapporti con le altre forze politiche e verso l’elettorato. La cocente sconfitta sul referendum, il fallimento in extremis dell’orribile tedeschellum, la fuoriuscita dal partito di una parte numericamente modesta ma politicamente significativa della minoranza, sono tutte questioni che meritano una risposta che non è mai arrivata. Né servono invettive e ostentazioni di sufficienza. Un vero leader deve sempre saper comprendere le ragioni dell’altro, sapere dialogare e confrontarsi costruttivamente fino in fondo, anche quando i punti di vista potranno risultare non convergenti. Questo è mancato fino ad ora al leader Pd, e l’apertura in zona cesarini all’ex sindaco Pisapia più che apparire inadeguata risulta tattica e in forte ritardo. Né lo stesso Pisapia crediamo potrebbe appoggiare una linea che continuasse a trattare Speranza, Bersani e D’Alema come il diavolo e i principali nemici da abbattere ad ogni costo.

L’idea del partito della nazione si è sfarinata da sola e la pubblica opinione dà per scontata la resurrezione di un Nazareno2. Ci siamo spinti troppo in là, eppure segnali, da interpretare con cautela, non sono mancati. Si tratta pur sempre di una tornata amministrativa che richiede il doppio turno, solo al termine del quale sarà possibile trarre qualche orientamento meno problematico. Da aggiungere comunque che non è da escludere una adunata di tutto il centrodestra, vero sogno di Berlusconi, sostenuto con ogni entusiasmo da Giovanni Toti. Tutti problemi non risolvibili con l’attivismo, ombrellone per ombrellone e il volantinaggio ai laghi e ai monti.

Il guazzabuglio politico italiano è legato alla crisi profonda di queste forze politiche sfiduciate dai cittadini e percorse da continui rischi di corruzione. Anche se fossero tutte fondate le accuse di demagogia e populismo rivolte agli avversari, la loro credibilità presso l’opinione pubblica e gli elettori dipenderebbe pur sempre dalla incapacità e responsabilità dei partiti chiamati in causa. Anche nei tempi più duri della guerra fredda Togliatti e De Gasperi non giocavano certo di fioretto e proponevano e riproponevano con forza le loro ragioni e i loro ideali. Anche perché non è stata inventata una democrazia senza il voto personale, libero e segreto dei cittadini.

Nuccio Fava

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