di FABIO CAMILLACCI/ Partiamo da un assunto: a causa dell’emergenza coronavirus, tutto lo sport mondiale si è fermato aspettando condizioni di sicurezza sanitaria per ripartire. Europei di calcio e Olimpiadi sono stati rinviati al 2021, Formula 1 e Motomondiale hanno cancellato i primi Gran Premi dell’anno cercando di capire se e quando cominciare in questo 2020. Stesso discorso per il tennis: cancellati Wimbledon e altri tornei prestigiosi. In Italia, rugby, basket e volley hanno deciso di congelare i campionati di quest’anno senza assegnare scudetti e senza stabilire retrocessioni e promozioni.
Soltanto il calcio, a livello di competizioni per club, sta aspettando a oltranza regalando come al solito un penoso teatrino tra ipotesi di ripartenza e dichiarazioni dettate da interessi personali. In Serie A, in B e in C ognuno tira acqua al proprio mulino a seconda di quella che è l’attuale classifica e l’andamento della stagione. Insomma, siamo alle solite: nel mondo del pallone molti pensano solo al proprio orticello invece di agire nell’interesse collettivo. D’accordo, rispetto agli altri sport, il calcio è un industria che ogni anno muove miliardi di euro, ma, questo non autorizza i protagonisti a sentirsi su un altro pianeta.
Il ridicolo balletto delle date. Fino a oggi, da club, Leghe, Federazioni e Uefa, ne abbiamo sentite di tutti i colori. Ripartiamo a maggio a porte chiuse facendo disputare le partite solo nelle zone meno a rischio; va bene però cominciamo a inizio giugno, anzi no a luglio e andiamo avanti fino a settembre, oppure completiamo la stagione 2019-2020 entro dicembre e dal 2021 facciamo partire quella successiva; prima finiamo i campionati, poi completeremo Champions ed Europa League.
Solo ipotesi, chiacchiere in libertà che non fanno i conti con quel terribile “oste” rappresentato dal Covid-19. E di conseguenza, ignorando due punti importanti. Il primo: per ripartire serve l’ok dei vari comitati scientifici e dei governi. Il secondo, ancor più determinante: le regole dello sport prevedono che in caso di pandemia, devono passare 3-4 mesi dalla fine dell’emergenza prima di ripartire in condizioni di piena sicurezza.
Alcune riflessioni che giriamo agli addetti ai lavori. Prima di tornare in campo, serve almeno un mese di allenamenti per far riacquistare ai calciatori la forma perduta dopo tutti questi giorni passati chiusi in casa. Molti giocatori stranieri sono tornati in patria e non potrebbero tornare in tempo visto che le frontiere sono chiuse. Giocare a porte chiuse eviterebbe sì assembramenti di tifosi sugli spalti ma non dimentichiamo che quando si gioca una partita di calcio professionistico si muovono centinaia di persone tra calciatori, staff tecnico, arbitri, dirigenti e dipendenti dei vari club. Infine, la Fifa ha stabilito che al di là di tutto i prestiti legati ai giocatori scadranno comunque il 30 giugno. Questo vuol dire che molti calciatori non potrebbero giocare né con l’attuale club, né con quello proprietario del cartellino.
Conclusioni. Alla luce di tutto questo, perché invece di ostinarsi a portare a termine questa stagione il calcio non decide di seguire l’esempio di altri sport chiudendo tutto in anticipo per lavorare al meglio su una ripresa a settembre? Sempre che a settembre ci siano le condizioni per ripartire. Sarebbe un buon modo per provare a fronteggiare la crisi economica che inevitabilmente travolgerà e ridimensionerà anche il mondo della pedata. Una cosa è certa: il coronavirus metterà fine a quella bolla incontrollata che da qualche anno caratterizza il calcio moderno. E’ finita l’epoca dei contratti faraonici e dei trasferimenti di giocatori pagati decine di milioni di euro. Quindi, oggi è fondamentale lavorare per evitare un default futuro che potrebbe avere conseguenze disastrose per molti club.
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