di ENNIO SIMEONE – Arroganza, presunzione, sotterfugi, manipolazione della realtà: con questo armamentario dialettico Matteo Renzi si è presentato all’assemblea nazionale del Pd per elencare ben 10 cause della sconfitta elettorale del 4 marzo (culmine di una serie di altre sconfitte dopo l’unica vittoria da lui conseguita, quella alle elezioni europee del maggio 2013, frutto di due fattori: la promessa, mai mantenuta, della “rottamazione“ della classe dirigente, e la squallida trasformazione della riduzione del costo del lavoro in un bonus di 80 euro per una decina di milioni di italiani che assunse i connotati di un volgare voto di scambio).
Di quelle 10 cause della sconfitta – consistita nel crollo elettorale del Pd, in appena tre anni, dal 40% al 18% dei voti – ha avuto la sfacciataggine di non attribuirne nemmeno una alla propria responsabilità, alla sua gestione del partito e del governo. Ed anzi, al posto di una onesta autocritica, ha sfoggiato una premonizione di disastro per chi non la pensa come lui e lo contrasterà al prossimo congresso del partito: «Perderete ancora!», ha gridato, gonfiandosi come un tacchino.
Primo, ma non unico, destinatario del minaccioso auspicio è Maurizio Martina, che l’assemblea ha riqualificato da segretario reggente a “segretario a termine” (cioè fino al congresso, che dovrà chiudersi prima delle elezioni europee di primavera). In quanti lo aiuteranno a liberarsi dalla maledizione del senatore semplice di Scandicci?
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