CHI GOVERNA NON PUO’ FARE COME DON ABBONDIO: IL CORAGGIO SE LO DEVE DARE

di STEFANO CLERICI Chi, leggendo la manovra finanziaria, accusa questo governo di scarso coraggio ha perfettamente ragione. Anche se, su questo aspetto, l’attuale governo è in nutrita compagnia.

Cominciamo dall’Iva. Averne impedito la cosiddetta “rimodulazione” è stato un grave errore. La devastante ossessione di “fare un favore a Salvini” ha impedito una elementare azione di giustizia: non si può e non si deve pagare la stessa tassa su un tartufo esu una confezione di pannolini per neonati, oppure su una bottiglia di champagne e sulla frutta e la verdura che si consumano ogni giorno. Già sentiamo l’obiezione: così si dà una mazzata all’industria del lusso, che è sempre stata un’eccellenza italiana. Sarei proprio curioso di vedere l’entità di questa mazzata. Ma secondo voi, uno che va al ristorante e ordina sempre tagliatelle al tartufo, le rimanda indietro perché invece di 40 euro ne costeranno dal 1° gennaio 41,50? Oppure uno che si permette da sempre una vacanza in un hotel superstellato, cambia abitudine perché invece di pagare 1000 euro al giorno ne dovrà pagare 1030? Lo vorrei proprio vedere. Mentre sono certo che se una confezione di pannolini o mezzo chilo di verdura costassero 1 o 2 euro in meno, milioni di famiglie arriverebbero a fine mese più serenamente.

Veniamo, ora, alle tasse. L’abbattimento del cuneo fiscale (tradotto: più soldi in busta paga per i lavoratori) è cosa buona e giusta. Ma la cifra messa a disposizione (appena tre miliardi) è decisamente insufficiente, al limite dell’irrisorio. A conti fatti, sono ogni mese 40 euro in più, la metà del “regalo elettorale” fatto dall’Attila fiorentino quando era a Palazzo Chigi. Ma i soldi sono quelli che sono, si dice: più di tanto non si può ricavare, se si vogliono ancora sventolare le bandiere del reddito di cittadinanza e di Quota 100. Bisognerebbe avere il coraggio, appunto, di ammainare quelle bandiere, o almeno una di esse, per recuperare risorse necessarie a rendere l’abbattimento del cuneo fiscale non una boccata ma una vera e piena bombola d’ossigeno per tutti quegli italiani che, pur avendo un lavoro, sono oggi sulla soglia di povertà.

Il problema, quindi, è trovare più soldi. Ed ecco spuntare per l’ennesima volta la parola magica: lotta all’evasione fiscale. Da decenni tutti i governi, di qualsivoglia colore, si sono cimentati in questa impresa titanica. E ogni volta è stato un fallimento. Tanto che oggi in Italia l’evasione ha superato quota 100 miliardi all’anno, più del doppio della media di ogni altro paese civile. Perché? Perché non si è mai avuto, appunto, il coraggio di andare fino in fondo.

E anche adesso siamo alle solite. Tutti a decantare il sistema americano, nelle cui carceri c’è gente condannata anche a vent’anni per evasione o frode fiscale, ma poi qui da noi, quando si comincia a parlare di manette agli evasori scoppia il putiferio. E parte l’orgia garantista. L’altro giorno, a Napoli, alla festa per i dieci anni del Movimento Cinque Stelle, Luigi Di Maio, annunciando trionfalmente che il ministro Bonafede sta per varare la norma che prevede la galera per chi froda l’Erario (e quindi ruba a tutti noi) si è affrettato a spiegare alla platea che mai e poi mai se la sarebbero presa con idraulici, elettricisti, commercianti, liberi professionisti e compagnia evadendo, ma solo con i grandi evasori. E Renzi si inalberava per la riduzione del limite del contante da 3000 a 2000 euro (1000 fra due anni) e altri storcevano il naso per l’obbligatorietà del POS (ovvero lo strumento per poter pagare con carta e bancomat e non con le solite, intracciabili, banconote).

Ora, è evidente che non puoi trattare allo stesso modo uno che ha frodato 100 euro come uno che ha frodato un milione di euro. Ma è altrettanto evidente che non puoi creare una “zona franca”. A uno che ha evaso 100 euro gli darò magari 10 euro di multa, ma a uno che ha frodato un milione gli dò vent’anni di galera, come fanno gli americani. E in mezzo una scala di sanzioni che aumentano progressivamente secondo l’entità del reato commesso. Quello che è sicuro è che deve esserci una pena. Una pena certa. E niente condoni.  L’evasore (in malafede, chiaro), grande o piccolo che sia, deve sapere che rischia e che il gioco non vale la candela.

C’è, poi, un’altra parola magica: spending review. Altra impresa titanica in cui si sono inutilmente cimentati tutti i governi negli ultimi trent’anni. Fior di commissari hanno fatto negli anni l’elenco dettagliato degli sprechi e dei tagli possibili per fermare questa gigantesca sanguisuga nazionale. Con quale risultato? Essere prima o poi accompagnati alla porta con tanti ringraziamenti per il lavoro svolto. Lavoro rimasto poi ben nascosto dentro i cassetti del Palazzo.

Ebbene, stavolta non bisogna essere come Don Abbondio. Stavolta il coraggio, anche se non ce l’ha, uno se lo deve dare. Stavolta sì, per non “fare un favore a Salvini”.

Commenta per primo

Lascia un commento