di RAFFAELE CICCARELLI*/ L’inizio di stagione calcistica ha visto una notevole movimentazione di grandi giocatori a livello europeo, innescata dall’uscita dal Barcellona di Leo Messi per accasarsi al ricco Paris St. Germain, in una girandola che sta muovendo milioni di euro e gli interessi degli appassionati. In Italia non si è assistito a nulla di tutto questo, anzi gli addii di Achraf Hakimi e Romelu Lukaku, Gigio Donnarumma, uniti a quello clamoroso di Cristiano Ronaldo, di ritorno al Manchester United a chiudere un cerchio con la sua carriera, hanno fatto sorgere più di un dubbio sull’attrattiva che ancora suscita il nostro campionato sui grandi giocatori. Qui si è scatenato un coro di prefiche che ha intonato quasi un De Profundis vedendo la nostra Serie A più che altro come una scuola di formazione e crescita per giovani prospetti che poi vanno a cercare, e portare, gloria all’estero.
Italia terra di insegnamento. Tutto opinabile, chiaramente, e già quest’ultimo assunto, di per sé, dovrebbe inorgoglire: se si viene in Italia per imparare tattica e strategia, e per svezzarsi ad un calcio che fa dell’attenzione uno dei suoi punti di forza ineguagliato negli altri tornei continentali, è perché evidentemente abbiamo tecnici di prim’ordine capaci di insegnare un tipo di calcio che poi viene esaltato all’estero. A conferma di ciò un mercato interno che si è basato soprattutto su movimenti tra squadre, ma con il ritorno in panchina di allenatori di riconosciute capacità quali Max Allegri, Luciano Spalletti, Maurizio Sarri, il ritorno in Italia dopo dieci anni di José Mourinho.
L’alternativa. Indubbiamente l’addio dei campioni citati sopra ha impoverito tecnicamente le rose di quelle squadre, ma Inter e Milan, soprattutto i primi, con un mercato accorto, hanno potuto supplire con giocatori più votati alla manovra e quindi più coinvolti nel progetto tattico di Simone Inzaghi. Sicuramente farà lo stesso Allegri alla Juventus:pensare di sostituire un giocatore come Cristiano Ronaldo, da più di trenta gol a stagione, è pura utopia, ma lo stesso era molto condizionante e caratterizzante dal punto di vista tattico, ora i bianconeri avranno più libertà di manovra, e questo è uno dei punti di forza del tecnico livornese. C’è anche un altro aspetto che non ci fa propendere verso il pessimismo diffuso: solo poco più di un mese fa la nostra nazionale è diventata campione d’Europa. Ora, se analizziamo le modalità, vediamo che sono le stesse che si dovranno mettere in pratica in campionato.
La lezione della Nazionale. Roberto Mancini non aveva la squadra migliore in assoluto, ma ha saputo fare gruppo, avendo il coraggio di puntare sui giovani, miscelati in maniera ottimale con gli esperti, di avere una linea di gioco arrembante e non attendista, proprio assecondando gli impeti giovanili di cui era permeata la sua squadra. È il classico ritornello di ogni inizio anno, di avere pazienza e di lanciare quei giovani che nel nostro calcio ci sono, allora sì che ha un senso definire la nostra Serie A una “palestra”, ma per far crescere i nostri giovani che poi ci possono regalare la gloria in campo internazionale: lo hanno fatto gli azzurri, lo possono fare i club.
*Storico dello sport
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