BRACCIO DI FERRO PER L’EX ILVA/ Scoperto il bluff di AcelorMittal: lo “scudo penale”è solo un bluff, l’obiettivo è il taglio di 5000 posti di lavoro

di LUCA DELLA MONICA – Il rischio di chiusura dell’acciaieria di Taranto, la più grande d’Europa (con 10mila lavoratori), che avrebbe ripercussioni anche sull’azienda collegata di Genova (altri 4mila dipendenti) e sulle molte aziende dell’indotto, è il più drammatico problema di fronte al quale si trova non solo il governo, ma tutto il paese. Una vicenda che rischia di colpire non l’economia di tutto il nostro paese, ma anche di dividere l’Italia in laceranti contrapposizioni se le varie forze politiche dovessero cercare di sfruttarla cinicamente come terreno di propaganda.

E invece sembra essere questo il terreno su cui la multinazionale ArcelorMittal punta per stracciare il contratto per la gestione dell’ex Ilva, che essa si è aggiudicato meno di due anni fa partecipando ad una gara nella quale ha battuto la concorrenza garantendo l’occupazione  preesistente e l’attuazione di bonifiche ambientali indispensabili per la salvaguardia della salute della popolazione di Taranto e, ovviamente, di coloro che in quella azienda lavorano. In cambio aveva ottenuto (purtroppo) una sorta di garanzia di immunità penale nei casi in cui, nell’attuazione delle misure di salvaguardia ambientale, non avesse rispettato in pieno gli obiettivi.

Tre giorni fa la ArcelorMittal ha improvvisamente annunciato al governo di voler venir meno al rispetto del contratto in seguito ad un voto del parlamento che cancella quella garanzia di umanità penale, che peraltro è di competenza della magistratura, non degli organi politici. Ma è questo il vero motivo per cui la ArcelorMittal intende “restituire” l’Ilva? Si è subito scoperto di no. All’origine, come  ormai risulta abbastanza chiaro, c’è il fatto che i conti  della gestione aziendale non tornano, cioè il piano industriale su cui si basava l’offerta vincente presentata nella gara per la gestione dell’acciaieria non regge. Ma, non potendo portare questa giustificazione – che sarebbe soggetta a probabile  impugnazione da parte degli altri concorrenti – la multinazionale indiana  si è aggrappata alla cancellazione dello “scudo penale”. E, di fronte all’offerta di una sospensione di questo “scudo”, ha replicato che le basta.  E ha controproposto un taglio del 50% della forza lavoro. Per cui Taranto si profila una doppia beffa: cinquemila lavoratori a casa e nessuna garanzia di corretta attuazione della bonifica ambientale per scongiurare il moltiplicarsi a Taranto dei casi di cancro, che ormai è da attribuire ai fumi provenienti dall’acciaieria.

DIARIO DELLO SCONTRO: 6 novembre

Lo “scudo penale” è solo un pretesto

L’obiettivo di ArcelorMittal

è un taglio di 5000 posti di lavoro

Nell’incontro del pomeriggio tra il governo e ArcelorMittal risulta evidente che l’obiettivo della multinazionale indiana è il dimezzamento degli occupati (5mila posti di lavoro) e quindi la cancellazione della garanzia di salvaguardia da azioni penali per le eventuali sue inadempienze ambientali è solo un pretesto. Che semmai potrà creare lacerazioni nel governo o, soprattutto, nella maggioranza di governo e offrire materia di propaganda (sia pur mendace) alle opposizioni.

In una conferenza stampa notturna, convocata dopo dodici ore di riunioni e vertici dai toni anche drammatici, il presidente del Consiglio Giuseppe Conte è stato esplicito nel riassume quella che è una vera e propria guerra tra il governo e la multinazionale dell’acciaio. “Il problema è industriale”, sottolinea Conte, riferendo che dall’azienda è arrivata esplicitamente una richiesta di “cinquemila esuberi”. Perciò chiama “tutto il Paese e le forze di opposizione alla compattezza”.

Saranno 48 ore sul filo della suspense. Perché la trattativa con ArcelorMittal non è ancora definitivamente chiusa. “Al momento la via concreta è il richiamo alla loro responsabilità”, spiega Conte, che ha chiesto a Lakshmi Mittal e a suo figlio di aggiornarsi tra massimo due giorni per una nuova proposta.

Conte pone il suo accento sulla serietà del problema: “Vogliono il disimpegno o un taglio di 5mila lavoratori”, ma “nessuna responsabilità sulla decisione dell’azienda può essere attribuita al governo”, spiega Conte sentenziando un concetto che sa di protesta di un intero sistema: “l’Italia è un Paese serio, non ci facciamo prendere in giro”. Per il governo, semplicemente A.Mittal non rispetta un contratto che si è aggiudicato dopo una gara pubblica.

Nel governo, a questo punto, emerge anche un’altra considerazione: quanto conviene che l’azienda resti? Per questo, nel frattempo, si stanno cercando “strade alternative” un “piano B”, che potrebbe concretizzarsi nella ricerca di una nuova cordata. E’ un’ipotesi che emerge a tarda notte e che non riguarderebbe necessariamente Jindal o AcciaItalia. Allo stesso tempo nel M5S filtra già una certa irritazione per la scelta di ArcelorMittal – che ha battuto la concorrenza e ora tenta di ricattare il governo, ma quello in carica oggi, non quello che ha incassato la fregatura, di cui faceva parte il ministro Carlo Calenda, che ha gestito il dossier.

Purtroppo il governo attuale – benché contrattacchi –  rischia di avere le armi spuntate. “Il nostro strumento al momento è la pressione nel nostro sistema Paese”, sottolinea Conte, che perciò ha convocato l’incontro con di oggi con i sindacati, il presidente della Regione Puglia Michele Emiliano e il sindaco di Taranto Rinaldo Melucci.

“Chiameremo tutto il Paese a raccolta”, insiste Conte ribadendo il suo messaggio alla politica: è il momento della compattezza. Una compattezza che, sul decreto offerto ad ArcelorMittal sullo scudo penale rischiava di mancare, vista la ferma contrarietà di una parte del M5S. Tanto che, dopo tre ore e mezzo di Consiglio dei ministri quel decreto non salta fuori. Ma per Conte, ora il problema non è questo. La norma sullo scudo penale, raccontano fonti di governo, è stata di fatto messa sul tavolo nell’incontro con A.Mittal, così altre rassicurazioni, come il pieno sostegno a un piano che renda l’ex Ilva un “hub della transizione energetica”. Tutto inutile. L’azienda vuole l’addio o un taglio draconiano della forza lavoro, che costringerebbe il governo ad intervenire sulla cassa integrazione. Con un’appendice: il governo non è disposto assolutamente ad accettare i 5mila esuberi richiesti.

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