“Berretti rossi” in marcia in Puglia contro il caporalato che sfrutta gli immigrati e ne mette a rischio la vita

Berretti rossi in marcia da San Severo a Foggia contro lo sfruttamento della manodopera in agricoltura mentre roseguono le inchieste, una sui due incidenti stradali, l’altra sul caporalato.”Basta morti sul lavoro“, “schiavi mai“. Sono alcuni degli slogan durante la “marcia dei berretti rossi“, partita in mattinata da San Severo e diretta a Foggia contro lo sfruttamento della manodopera in agricoltura. La manifestazione è stata organizzata dall’Unione Sindacale di Base. Alla marcia numerosi migranti con gli stessi berretti rossi che usano per proteggersi dal sole cocente, “mentre raccolgono i pomodori nei campi per la vergognosa paga di un euro al quintale”, i loro quattro compagni di lavoro morti nell’incidente di sabato scorso sulla provinciale 105 mentre tornavano dai campi. La marcia è partita dall’ex ghetto di Rignano, nel comune di San Severo per concludersi davanti alla prefettura di Foggia.

Nel pomeriggio una seconda iniziativa a Foggia, alla quale hanno aderito Cgil, Cisl e Uil e diverse associazioni, per ricordare i 16 braccianti morti negli ultimi giorni sulle strade del foggiano in due incidenti stradali. “Saremo ovunque c’è da difendere la dignità del lavoro – ha detto il coordinatore nazionale di Mdp, deputato di Liberi e Uguali, Roberto Speranza arrivando al corteo a Foggia -. Nei procedimenti penali che avranno ad oggetto la persecuzione del caporalato noi ci saremo a sostegno della pubblica accusa con gli strumenti che il codice di procedura penale mette a disposizione”.

Il racconto dei sopravvissuti, sfruttati e vivi per miracolo – “Siamo vivi per miracolo”. Ci “sfruttano: con noi fanno i soldi caporali e imprenditori”, hanno detto i due sopravvissuti all’incidente stradale di lunedì scorso in provincia di Foggia, in cui sono morti 12 migranti mentre a bordo di un furgone tornavano dal lavoro nei campi.

In una intervista al Tg1, Kadmel Kulhè, di 30 anni, del Senegal, e Shoua Lage, di 33 anni, del Gambia, parlano dall’ospedale Casa sollievo della sofferenza a San Giovanni Rotondo (Foggia), in cui sono ricoverati. “Sono vivo per miracolo”, dice Kulhè ricordando che “ieri altri miei paesani mi hanno detto che eravamo 14” nel furgone “e dodici sono morti”. “Era il mio primo giorno con il nuovo caporale che era alla guida del furgone”, sottolinea il bracciante. “Lui – continua – era del Marocco”. Lage ricorda di avere “riempito 17 cassoni” quel giorno, pagati “3 euro e 50 l’uno”. Ma “per viaggiare sul furgone – fa sapere – paghiamo 3,50 euro”. I braccianti sottolineano di sentirsi “sfruttati” perché dal loro lavoro “fanno soldi soltanto l’imprenditore e il caporale”. E al cronista che gli domanda se dopo questa strage cambierà qualcosa, rispondono con un filo di speranza: “Sì, qualcosa cambierà”.

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