Basta con la politica dei rinvii e dei (finti o veri) litigi

di NUCCIO FAVA – Siamo ben oltre il mancato rispetto delle buone maniere invano invocate e pochissimo rispettate anche nel dibattito pubblico, non solo per le volgarità ma per le falsità che lo animano. Prevalgono insulti quotidiani reciproci scambiati con disinvoltura da un campo all’altro, spesso da esponenti minori mandati in prima linea, supportati però quasi sempre dagli interventi decisivi dei capi che confermano in pieno la linea e brandiscono la parola fine sulla questione. Si tratta però di un ennesimo assalto rumoroso tutt’altro che conclusivo. Si risolve di solito in un ennesimo rinvio, nello spostamento ripetuto del Consiglio dei ministri che neutralizza lo sforzo di mediazione del presidente Conte, accresce la frustrazione di tutti, disorienta opinione pubblica, rende sempre più estranea l’Italia al contesto internazionale.

La politica della chiacchiera e dell’urlo ne sta diventando sempre più testimonianza clamorosa a cominciare da certi talk show, nei quali (è solo un esempio) Dagospia o il ritorno di Luzzati annunciato da Freccero come grande novità (forse per bilanciare il prevalente flop del mellifluo Fazio e l’eterno galleggiamento di Vespa), non saranno di grande contributo contro il continuo degradare della nostra vita civile e della accresciuta distanza tra cittadini ed istituzioni, tra politica e spirito comunitario e di solidarietà.

E ciò dovrebbe invece preoccupare molto non solo il Parlamento e le forze politiche ma le famiglie e la scuola, le parrocchie e il variopinto mondo dell’associazionismo laico e cattolico, della musica e dello spettacolo. Perché è dal concorso e dal loro essenziale contributo che potrà determinarsi un rinnovamento graduale ma profondo della nostra condizione etico-civile, in ultima analisi della stessa politica e della capacità di governo.

Oltre che competere nel litigio (che spesso sembra finto, finalizzato alla competizione elettorale europea ) i due vice-premier Di Maio e Salvini non sembrano rendersi conto di essere in clamorosa contraddizione con le proprie proposte elettorali. Basta pensare al sempre illuminante problema Rai. Era stato annunciato un nuovo corso “rivoluzionario”: l’uscita dei partiti da viale Mazzini e il trionfo delle professionalità. Sappiamo com’è andata con le nomine di consiglio e presidente, direttori di radio e tv, con l’affollata platea di vice  direttori e capi redattori. Una infornata non degna dei criteri cui dovrebbe ispirarsi un «servizio pubblico».

  Quello che servirebbe davvero per contribuire ad incoraggiare lo spirito nazionale  e la fiducia nel futuro è il superamento di certa retorica – persino quella che è stata esaltata in occasione della pur importante convenzione per la “Via della seta” sottoscritta con la Cina – con la  valorizzare del nostro immenso patrimonio storico e culturale. Invece siamo al punto che in assenza di contenuti e prospettive politiche audaci e innovative prevalga l’attenzione alla forma, agli slogan, e all’abbigliamento del leader. Eppure varrebbe ricordare il famoso faccia a faccia tra Kennedy e Nixon, che il primo vinse con lo slogan «Non chiedetemi che cosa il presidente dovrà fare per gli Stati Uniti, ma piuttosto che cosa ogni cittadino americano dovrà fare per gli Stati Uniti».                

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