di ENNIO SIMEONE – Quel signore barbuto che si aggira in mutande per le spiagge italiane dicendo che “qualcosa (?) si è rotto nel governo” (di cui è vicepresidente) e che quindi “gli italiani devono tornare alle urne”, è pericoloso. Lo è perché chiede esplicitamente – benché lo faccia invocando “il buon Dio” e sgranando un rosario o baciando una figurina della Madonna – che gli italiani gli diano i voti per governare da solo (o al massimo affratellato con la signora Meloni come ruota di scorta).
E’ pericoloso perché ci ricorda tanto, purtroppo, un altro signore che un secolo fa, senza barba ma con lo stesso stile natatorio, si esibiva sui lidi romagnoli, non disdegnando talvolta neanche qualche fiume, dopo aver marciato su Roma alla testa di manipoli di suoi fedelissimi. Anche lui raccoglieva applausi e consensi. In molti, in tanti, lo applaudivano, anzi lo osannavano, e si facevano fotografare accanto a lui ancora madido di sudore per l’ultima marcia o a torso nudo dopo l’ultima nuotata. Divenne il simbolo dell’«uomo solo al comando». E agli italiani ci sono voluti anni di dure fatiche e di sacrifici per far risorgere il paese dalle macerie e dai lutti che quell’eroe balneare produsse in vent’anni di potere.
Da allora gli italiani giurarono a se stessi che non avrebbero voluto mai più un uomo solo al comando e questa volontà fu affermata a chiare lettere in una Costituzione in cui questo principio è sancito, insieme con le salvaguardie perché non possa più accadere. Qualcun altro ha provato in tempi recentissimi a perseguire lo stesso obiettivo. Ma quelle regole, e la saggia prudenza popolare nel rispettarle, glielo hanno impedito. Con il voto. È ancor più necessario, anzi è vitale, che ciò accada anche questa volta.
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