Claudio Descalzi, amministratore delegato di Eni, il suo predecessore (nonché attuale presidente del Milan) Paolo Scaroni e tutti gli altri imputati (comprese le società Eni e Shell) sono stati assolti dal Tribunale di Milano nel processo per corruzione internazionale con al centro l’acquisizione dei diritti di esplorazione del blocco petrolifero Opl245 in Nigeria.
Lo ha deciso la settima sezione del Tribunale di Milano presieduta dal giudice Marco Tremolada che ha scagionato anche gli allora manager operativi nel Paese africano, i presunti intermediari, Shell con i suoi quattro ex dirigenti e l’ex ministro del Petrolio nigeriano Dan Etete.
“Finalmente a Claudio Descalzi è stata restituita la sua reputazione professionale e a Eni il suo ruolo di grande azienda”: è il commento dell’avvocato Paola Severino, difensore dell’ad della compagnia petrolifera.
Dopo la sentenza, l’Eni in Borsa a Milano ha proseguito la seduta in rialzo e senza particolari oscillazioni. A Piazza Affari il tiolo avanza dello 0,8% a 10,32 euro.
La Procura prima dell’estate scorsa aveva chiesto condanne per tutti, tra cui 8 anni di carcere per l’ad di Eni, Claudio Descalzi, e per il suo predecessore Scaroni, 10 anni per l’ex ministro del petrolio nigeriano, Dan Etete, 7 anni e 4 mesi per Roberto Casula, manager per la compagnia petrolifera italiana nell’area dell’Africa sub-sahariana, e la confisca di 1 miliardo 92 milioni e 400 mila dollari sia nei confronti di Eni e di Shell – nei cui confronti è stata chiesta una sanzione pecuniaria di 900 mila euro ciascuna – sia nei confronti di tutti gli imputati.
Le richieste di pena sono da sempre ritenute dalla società di San Donato “prive di qualsiasi fondamento”, e “in assenza di qualsivoglia prova o richiamo concreto ai contenuti della istruttoria dibattimentale”.
L’avvocato De Castiglione nel suo intervento di stamane ha ribadito che “Eni e Shell non hanno fornito alcuna provvista né alcuna tangente, ma hanno pagato per ottenere una licenza. Non vi è stata alcuna discussione con pubblici ufficiali, ma solo una discussione tecnico-economica sul prezzo del bene“. Inoltre il legale ha aggiunto che “sotto sotto anche il pm e la parte civile sono ben consci della totale inconsistenza dell’ipotesi che ‘tutti sapevano’ del denaro“.
Il processo era iniziato tre anni fa, nel marzo 2018, con al centro – questa era l’ipotesi del procuratore aggiunto Fabio De Pasquale e del pm Sergio Spadaro – una presunta maxi tangente da oltre 1 miliardo e 92 milioni di dollari che sarebbe stata versata, secondo l’accusa, da Eni e Shell per ottenere nel 2011 la licenza sui diritti di esplorazione del giacimento nigeriano. Tesi respinta oggi dai giudici, che hanno assolto tutti gli imputati “perché il fatto non sussiste”.
Le motivazioni saranno depositate entro 90 giorni. In particolare, i giudici hanno assolto l’ad Eni Descalzi, all’epoca dg Exploration&Production, l’ex numero uno Scaroni, l’ex responsabile operativo del gruppo di San Donato nell’Africa sub-sahariana Roberto Casula, l’ex manager della compagnia italiana nel Paese africano e ‘grande accusatore’ Vincenzo Armanna, l’ex manager di Nae, controllata Eni in Nigeria, Ciro Antonio Pagano, l’ex ministro del Petrolio nigeriano Dan Etete. E poi ancora Luigi Bisignani, il russo Ednan Agaev e Gianfranco Falcioni, quest’ultimo imprenditore ed ex viceconsole in Nigeria, l’ex presidente di Shell Foundation Malcom Brinded e gli ex dirigenti della compagnia olandese Peter Robinson, Guy Jonathan Colgate e John Coplestone. Assolte anche le due società, imputate per la legge sulla responsabilità amministrativa degli enti.
Con le assoluzioni, ovviamente, nessun risarcimento per il governo nigeriano, che era parte civile. Già nel processo sul caso Saipem-Algeria, nel quale l’accusa era sempre corruzione internazionale, Eni, lo stesso Scaroni, assieme ad un altro ex manager della società, sono già stati assolti definitivamente. Assoluzione definitiva che era arrivata anche per Saipem e i suoi manager. Nel caso Nigeria, invece, con rito abbreviato i presunti mediatori Obi Emeka e Gianluca Di Nardo sono stati condannati a 4 anni di reclusione.
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