Arrestati due amministratori della ditta napoletana già esclusa dalla ricostruzione del ponte Morandi a Genova

Gli amministratori della ‘Tecnodem srl’ di Napoli, impresa impegnata nella ricostruzione del ponte Morandi, sono stati arrestati dalla Dia nell’ambito di un’inchiesta coordinata dalla Dda di Genova. L’ordinanza di custodia cautelare è stata emessa dal Gip nei confronti dell’amministratore di fatto e di una donna, considerata un prestanome. Dalle indagini è emerso che l’amministratore era contiguo a clan camorristici. La società era già stata esclusa dai lavori lo scorso maggio.

La ‘Tecnodem’ aveva lavori in subappalto per centomila euro nell’ambito delle opere di demolizione del ponte, in corso in queste settimane. Ma le indagini degli uomini della Direzione investigativa antimafia, sulla base dei primi accertamenti di carattere amministrativo, avevano consentito agli inquirenti di emettere già maggio scorso un’interdittiva a carico dell’azienda, che era così stata estromessa dai lavori. Oltre agli arresti, d’intesa con la Dda di Napoli, sono in corso una serie di perquisizioni e sequestri preventivi tra Genova e Napoli.

In manette, nell’operazione della Dia di Genova coordinata dal sostituto procuratore Federico Manotti, sono finite Consiglia Marigliano, amministratrice e socio unico della Tecnodem e Ferdinando Varlese, pregiudicato di 65 anni di Napoli domiciliato a Rapallo. Secondo gli investigatori era lui il vero amministratore della ditta. L’accusa è di intestazione fittizia di beni aggravata dall’aver commesso il fatto per agevolare il clan D’Amico, del rione Villa di Napoli. Tra le condanne riportate da Varlese, emerge la sentenza emessa dalla Corte d’appello di Napoli nel 1986 per associazione a delinquere. Tra i coimputati vi erano affiliati al clan “Misso-Mazzarella-Sarno”, già appartenente all’organizzazione camorristica denominata “Nuova Famiglia”, i cui boss erano Michele Zaza e suo nipote Ciro Mazzarella. Altra sentenza rilevante, secondo la Dia, è quella della Corte d’appello di Napoli del 2006 per estorsione tentata in concorso, con l’aggravante di aver commesso il fatto con modalità mafiose, da cui si evincono in maniera circostanziata i legami di Varlese con il sodalizio camorristico “D’Amico”, cui risulta legato da rapporti di parentela. (Ansa)

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