ANALISI STORICA/ E’ una Serie A più bella e combattuta in vetta ma il divario tra le big e le altre è aumentato. Che fine hanno fatto gli allenatori di una volta?

di RAFFAELE CICCARELLI*/ La cifra tonda delle dieci giornate di gare raggiunta nel nostro campionato di Serie A ci permette di fare alcuni ragionamenti per capirne l’attuale portata e le tendenze immediatamente future. Indubbiamente, il dato che risalta subito è che è aumentata la competizione per vincere lo scudetto: non solo due o forse tre squadre, ma almeno quattro che potrebbero spezzare la tirannia della Juventus che dura da sei anni. Al fianco delle pronosticate Napoli e Roma si sono inserite a pieno titolo l’Inter di Luciano Spalletti e la brillante Lazio di Simone Inzaghi, tutte compagini con le carte in regola per cancellare i pavesi bianco e nero della Juventus, che resta ancora la favorita per la vittoria finale.

Divario enorme tra le big e le altre. Guardando la classifica, però, quello che salta ancora più all’occhio è come si sia allargata la forbice tra squadre di vertice e le altre, anche se quest’anno pare esserci una terza via, quella delle outsider, squadre che magari non si troveranno coinvolte nelle lotte per vincere o salvarsi, ma che hanno valori e capacità da potere centrare l’impresa di fermare una delle grandi, anche se poi, per ristrettezze di organico, mancano di continuità (Atalanta, Bologna, Fiorentina e Sampdoria su tutte). Il vero fenomeno, però, è, a mio avviso, quel campionato a parte che sono costrette a disputare le squadre dal tredicesimo al ventesimo posto (Udinese, Cagliari, Sassuolo, Genoa, Crotone, Verona, Spal, Benevento, in rigoroso ordine di classifica), acuendo in questa stagione una tendenza che già si notava da alcuni anni.

I perchè di un simile divario. È chiaro che la causa principale è l’opulenza che possono ostentare le squadre di vertice, cosa che permette loro di allestire organici tecnicamente superiori, e di molto pure, rispetto alle altre, ma credo che si possa fare anche un altro tipo di considerazione, più tattico-strategica. Se, infatti, andiamo ad analizzare quali sono gli allenatori di queste squadre ci accorgiamo che, a parte Luigi Delneri all’Udinese, il resto dei tecnici sono tutti giovani, anagraficamente o per esperienza in Serie A. Manca quella generazione di allenatori di lungo corso, vecchi bucanieri delle panchine capaci di destreggiarsi nei mari più agitati, abili a pilotare, spesso anche se non sempre, i loro fragili vascelli fuori dai marosi. Gente capace di mentalizzare i propri giocatori prima a combattere, poi a giocare, come si sovviene a squadre che devono far diventare la povertà tecnica una virtù più che un limite. Parlo di gente come Eugenio Fascetti, Nedo Sonetti, Carletto Mazzone, Emiliano Mondonico, allenatori che ben incarnavano lo spirito del calcio di provincia. Oggi si tende a sminuire, quasi a oltraggiare quel tipo di calcio, con il nuovo figlio di una mentalità giovane che ha le sue radici nell’epocale cambiamento di visione che apportò Arrigo Sacchi con il suo Milan.

La stortura più grande. Qui a mio avviso, però, viene fuori una stortura che fa un po’ a pugni con la logica: va bene avere una visione moderna del calcio, ma se essa poi non si adegua alla realtà che uno ha a disposizione, vale la pena perseguirla a oltranza, o sarebbe più logico adattarla alle situazioni? Piuttosto che affrontare una delle squadre “ricche” con moduli spregiudicati, non sarebbe più opportuno partire strategicamente più accorti, salvo poi cercare di imporre il proprio gioco contro avversari di pari valore? Mi sfugge il motivo di questa ricerca del bello, del confronto alla pari quando poi pari non potrà mai essere. Allora forse sarebbe meglio ritornare al sano realismo di provincia, dimostrare di avere duttilità tattica e mentale adattandosi di volta in volta al valore dell’avversario: resta sempre la vittoria della piccola Grecia ai Campionati Europei del 2004 il capolavoro tattico strategico di questi Anni Zero, la capacità di fare un calcio su misura di chi lo deve interpretare, e non pretendere il contrario. Fare un piccolo passo indietro, oltre che dimostrare intelligenza, credo che alla lunga ripristinerebbe un poco di equilibrio che potrebbe rendere ancora più appassionante e coinvolgente la nostra Serie A, con tattiche di gioco che siano figlie della reale necessità e delle capacità delle squadre che si allenano, e non della moda. E’ nella Storia che si possono trovare le indicazioni per un futuro migliore.

*Storico dello sport

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