Alcune amare considerazioni e un sogno nel seguire l’impresa di Mario Draghi

STEFANO CLERICI – Premessa, sincera e indispensabile: Mario Draghi, come  capacità e prestigio, è probabilmente il miglior presidente del Consiglio che al momento potesse capitarci. E un governo tanto largo e forte da spazzar via le liti, le furbizie, i rancori e i ricatti cui abbiamo assistito nelle ultime settimane, è probabilmente la sola via d’uscita rimasta dopo le macerie lasciate dall’Attila fiorentino, da poco ribattezzato anche LawRenzi d’Arabia per via di un suo improvvido (ma lautamente retribuito) show televisivo con uno sceicco che è solito sbattere in galera le donne che osano mettersi alla guida di un’auto e che ha risolto brillantemente il problema del costo del lavoro reintroducendo la schiavitù. Ed è anche probabilmente l’unica risposta oggi possibile al drammatico appello lanciato dal presidente della Repubblica dopo il fallimento dell’esplorazione affidata a Roberto Fico.

Ma, qualora si arrivasse davvero alla soluzione della crisi così come al momento si prospetta, chi, come noi, ancora crede nei valori della Politica (quella con la P maiuscola), nella forza delle idee e nella passione dell’impegno civile, non può esimersi da alcune, anche amare, considerazioni. Come queste.

  • Per sostituire al capezzale del paziente Italia un non certo brillantissimo, ma pur sempre onesto e dignitoso dottore, con un indiscutibile luminare della scienza, saremmo costretti a far avvicinare a quel capezzale anche un vecchio medico già a suo tempo allontanato per aver fatto entrare in agonia il medesimo paziente e successivamente perfino radiato dall’albo, accompagnato per di più da un giovane dottorando lombardo, collezionista di felpe, il quale è convinto che il covid sia come l’influenza stagionale, che le mascherine si debbano indossare solo a carnevale e che la quarantena la devono fare solo gli immigrati, meglio se sballottati in mezzo al mare.
  • Ognuno la può vedere come vuole, ma è indubbio che un governo cosiddetto di larghe, anzi larghissime, intese, che va dalla Lega a Liberi e Uguali, conferirebbe nuova (ma discutibile) nobiltà a termini fin qui dispregiativi quali “inciucio” o “ammucchiata”. E metterebbe in un cantone valori in una società civile difficilmente negoziabili quali lealtà, coerenza e tradizione. O, se volete, ideologia, parola che dovremmo smettere una volta per tutte di pronunciare come fosse un insulto.
  • Per quanto sia forte, indiscutibile e indiscussa, l’autorevolezza di Mario Draghi, l’ex presidente della Banca Centrale Europea non è il Cristo tornato in terra. E i ministri e i leader di partito chiamati ad appoggiarlo non sono i suoi apostoli. E se mai lo fossero, è molto probabile che prima o poi, quando ci sarà da cantar messa, un Giuda salterebbe fuori. Magari più d’uno. L’abbiamo visto anche di recente. Il rischio c’è sempre. E così saremmo da capo a dodici.
  • Comunque vada a finire, il fallimento non tanto della politica, quanto del sistema, è sotto gli occhi di tutti. Le larghissime intese saranno forse indispensabili adesso, in piena emergenza economica, sanitaria e sociale, ma non possono che essere l’eccezione, non certo la regola. Ed ecco che il sistema Italia va non ripensato, ma rifondato. Magari con un salutare ritorno alle origini. Con i partiti, che erano comunità di persone unite dagli stessi valori che poi sceglievano i propri rappresentanti, secondo capacità e preparazione, formati sui territori, a contatto quotidiano con la gente, e non scelti per amicizia o clientela dal pifferaio magico del momento, seguendo la favoletta dell’uno vale l’altro. Persone scelte con la testa e non con la pancia.

E, infine, la madre di tutte le riforme: una legge elettorale che faccia piazza pulita di nominati e cespugli d’ogni tipo, per mettere gli Attila-LawRenzi d’Arabia di turno in condizione di non nuocere. Insomma, una normale e civile vita politica e parlamentare. E’ davvero solo un sogno?

 

 

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