Oggi dobbiamo dare l’addio a una delle glorie più luminose del calcio italiano. E’ morto nella notte a Torino, per una insufficienza cardiaca, Giampiero Boniperti, presidente onorario della Juventus, di cui è stato una bandiera prima come calciatore e poi come dirigente. La triste notizie è stata data dalla famiglia all’Ansa. Boniperti, che negli ultimi anni si era ritirato a vita privata, avrebbe compiuto 93 anni il prossimo 4 luglio. I funerali si svolgeranno nei prossimi giorni in forma privata per volere della famiglia.
Di vittorie e soddisfazioni alla Juventus ne ha avute tantissime, sul campo, ma anche dietro la scrivania: cinque scudetti da giocatore, nel ‘Trio magico’ con Charles e Sivori, tutti i trofei possibili, in Italia e nel mondo, nel suo ventennio da presidente. Nel club bianconero era arrivato a 17 anni, pagato 60mila lire fifty fifty tra la squadra del suo paese, Barengo (Novara), e il Momo che l’aveva tesserato. Ne è uscito 48 anni dopo, quando ha lasciato la presidenza effettiva della Juventus. E’ stato presidente dal ’71 al ’90 e poi, quando fu richiamato dalla famiglia Agnelli, amministratore delegato dal ’91 al ’94.
Dal 2006 era presidente onorario. “La Juve – è un’altra delle sue espressioni più amate – non è soltanto la squadra del mio cuore, è il mio cuore”. Da presidente, lasciava lo stadio alla fine del primo tempo, e seguiva alla radio il secondo; tra le tante sfide quelle più sofferte erano le stracittadine con il Torino, anche se ai granata ha segnato più di ogni altro bianconero: 14 gol (13 in campionato, 1 in Coppa Italia). “Il derby – aveva spiegato, da dirigente – mi consuma, amo troppo la Juve e ho così rispetto della Juve che non può essere altrimenti”. Con i giocatori aveva sempre il coltello dalla parte del manico, ma era lontano il tempo della predominanza dei procuratori. Dopo il Mundial vinto dall’Italia nell’82 in Spagna, aveva messo fuori rosa, perché avevano chiesto un aumento, nientemeno che Paolo Rossi, Tardelli e Gentile. Una settimana di stop, un’amichevole saltata, prima di essere nuovamente ricevuti da Boniperti, e di firmare il contratto, con la concessione di un piccolo ritocco. Dei tantissimi calciatori di grido che ha portato alla Juventus, due tra i più amati sono stati Scirea e Del Piero; alla Juve ha fatto venire, dal Milan, un giovane Giovanni Trapattoni con il quale ha condiviso dieci stagioni con i primi successi internazionali. Una scommessa vinta contro gli scettici: con il ‘Trap’ alla guida, la Juve vinse subito lo scudetto con il record a quota 51, quando le vittorie valevano ancora due punti. E’ stato europarlamentare dal ’94 al ’99. Ma la sua grande, vera e unica passione è sempre stata la Juventus.
“La commozione che in questo momento tutti noi stiamo provando – si legge sul sito della Juventus – non ci impedisce di pensare con forza a lui, a tutto ciò che il Presidentissimo è stato e sarà per sempre nella vita della Juventus. Una figura indelebile, che da oggi si consegna al ricordo, perché sui libri di storia del calcio ci è finita già da tempo. Perché quando esprimi un pensiero, e quel pensiero diventa parte del Dna della società a cui hai dedicato la vita – aggiunge il club -, vuol dire che il tuo carattere ne è diventato identità e modo di essere. Per sempre”.
“Alla Juve posso fare solo un augurio: continuare a vincere perché, come sapete, rimane sempre l’unica cosa che conta…“, aveva raccontato Boniperti all’ANSA, con una lettera scritta di suo pugno per i suoi novant’anni. Quella frase – “vincere non è importante, è l’unica cosa che conta” – è il marchio di fabbrica della Juventus, un mantra e un monito, allo stesso tempo, per chiunque indossi la maglia bianconera. Giampiero Boniperti quella casacca l’ha portata per 444 partite. Eppure, quando era bambino si sarebbe accontentato – aveva raccontato qualche tempo fa – di portarla “una volta, per essere felice per sempre”.
Quando indossò la maglia granata dei rivali di sempre nel ricordo della tragedia di Superga
di RAFFAELE CICCARELLI/ Ci sono personaggi che hanno attraversato il mondo dello sport con la velocità delle meteore, lasciandosi alle spalle una scia luminosa ma effimera, di breve durata. Altri, invece, sono stati dei veri e proprio soli, abbaglianti centri gravitazionali capaci di formare un intero mondo, che ancora dura nel tempo. Per quasi mezzo secolo Giampiero Boniperti ha rappresentato questo, nel mondo Juventus, l’unica squadra in cui ha militato, ancora oggi punto di riferimento dei bianconeri come presidente onorario.
Addio a una grande bandiera. Quando a volte, presi da rigurgiti nostalgici, rimpiangiamo, per chi li ricorda, i giocatori bandiera, il primo a essere ricordato è proprio lui, il giocatore nato nella provincia novarese da famiglia di benestanti agricoltori, caratteristica, quella dei contadini furbi, che mantenne nel tempo anche quando divenne dirigente, nel trattare con i giocatori. Nasceva attaccante, Boniperti, ed esordiva nella massima serie nel 1947, subito dopo la tragedia della guerra e poco prima di quell’altra tragedia sportiva, che colpì l’Italia, la perdita del Grande Torino.
I granata furono i suoi rivali di sempre ma, da sportivo vero e leale, non esitò a indossarne la maglia, per una volta, proprio in una commemorazione della Tragedia di Superga. Come era tipico del calcio di quel tempo, figlio di metodo e sistema, Boniperti nel corso della sua carriera agonistica effettuò quella che oggi si chiama rotazione, in campo: iniziò da veloce ala destra, poi passò centravanti, sfruttando gli assist di John Hansen e del fratello Karl e dell’altro danese Karl Aage Praest, realizzando molte delle centosettantotto reti con cui avrebbe chiuso la sua carriera, fino a completare la rotazione arretrando il proprio raggio d’azione, diventando “centro-campista”, come lo aveva indicato, inventando il termine oggi di uso comune, il sommo Gianni Brera.
In questo ruolo poté esaltare le sue doti tecniche e la sua visione di gioco, diventando a sua volta il rifinitore per altri due fenomeni bianconeri di quegli anni, Omar Sivori e John Charles, a formare quello che è passato alla storia come il Trio Magico, in cui si esaltavano la fantasia dell’argentino, la potenza del gallese, la sapienza tattica dell’italiano, in contrapposizione e succedendo all’altro trio storico dell’epoca, il Gre-No-Li milanista formato da Gunnar Gren, Gunnar Nordhal e Nils Liedholm. Per la Juventus e per Boniperti furono anni di successi, con cinque scudetti e due coppe Italia, poi, al termine della stagione 1960/61, dopo la conquista del titolo, Boniperti diede l’addio al calcio giocato.
Nazionale amara per Boniperti. Come spesso capitato a grandi giocatori in quel periodo, in Nazionale non ebbe eguali successi, dopo Superga gli azzurri vissero un periodo di transizione che coincise con quel vuoto generazionale, partecipò a due mondiali (1950, 1954), ma senza alcuna gloria. Gloria che avrebbe invece continuato a mietere una volta messi i panni di dirigente, dimostrando quella furbizia contadina di cui abbiamo accennato all’inizio, evidente retaggio di famiglia, e per lui e la Juventus furono nuovi, e anche più cospicui successi.
Giampero dirigente. Diventato presidente bianconero nel 1971, Boniperti contribuì con la sua gestione a costruire una delle Juventus più forti di tutti i tempi, portando in prima squadra talenti del vivaio come Roberto Bettega e Beppe Furino, e prendendo assi quali Dino Zoff, Marco Tradelli, Gaetano Scirea, Claudio Gentile, riprendendo Paolo Rossi che pure dal vivaio bianconero era uscito. Tutto questo portò alla corte della famiglia Agnelli nove scudetti, due coppe Italia, ma soprattutto l’affermazione a livello internazionale con la conquista di tutte le coppe del tempo, con Giovanni Trapattoni quale allenatore, altra sua felice intuizione, e, possiamo dire, la forza di questa squadra è dimostrata dal fatto che, in pratica, sarebbe diventata campione del mondo nel 1982 con la maglia dell’Italia di Enzo Bearzot.
Il ritiro finale. Ritiratosi definitivamente negli anni Novanta, quando il calcio è diventato, anche nella contrattazione con i calciatori, una struttura industrializzata in cui non si ritrovava più, Boniperti è rimasto presidente onorario della Juventus fino all’ultimo, juventino dentro, perfetta incarnazione che “alla Juventus vincere non è importante, è la sola cosa che conta”.
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