Addio a Giampaolo Pansa, che ha raccontato la politica e la storia del nostro paese da grande cronista senza peli sulla lingua

di ENNIO SIMEONE – Il giornalismo ha perduto oggi, con la morte di Giampaolo Pansa, una delle figure di spicco degli ultimi sessant’anni, con un viaggio partito nel 1961 dalla cronaca per approdare alla storia, esplorata attraverso libri di grande successo, ai quali è arrivato passando in un succedersi di inchieste talvolta persino spietate sulla società italiana e sulla storia di questo paese.

Nato nel 1935 a Casale Monferrato, aveva iniziato la professione a «La Stampa», diventando ben presto un inviato di punta per la sua capacità di incrociare il racconto meticoloso del cronista con la tenacia nell’indagare i retroscena e i caratteri dei protagonisti. Me ne resi conto quando ci incontrammo per la prima volta nel 1970 a Reggio Calabria, nella città in rivolta contro la scelta di Catanzaro come capoluogo della nascente Regione: una rivolta protrattasi drammaticamente per mesi, durante i quali alle devastazioni, ai cortei, agli scioperi, agli arresti, si aggiunsero i lutti. 

Giampaolo iniziava la sua giornata di lavoro per «La Stampa» uscendo all’alba dall’albergo dove alloggiavano tutti gli inviati dei quotidiani, delle radio e delle tv per ritornarvi con il fascio dei giornali da leggere velocemente e da ritagliare per arricchire il suo archivio portatile, giusto il tempo per ripartire e, a piedi, andare nei punti di incontro dei rivoltosi, da cui ogni mattina partiva il corteo della protesta, facendo tappa, per intervistarli, negli uffici o a casa dei personaggi che rappresentavano i due fronti opposti: quello dei promotori della rivolta e quello di coloro che  avevano il duro compito di contrastarla o di contenerla. Trascinò nei suoi ritmi anche me, che ero inviato per «l’Unità».

Ne nacque un affiatamento e un legame, che ci indusse a «fare squadra» in leale concorrenza con i colleghi di altre testate (Alfonso Madeo del «Corriere della sera», Egisto Corradi del «Giorno», Miriam Mafai e Arturo Gismondi per «Paese sera», Bruno Tucci del «Messaggero»). Per me fu una iniezione di professionalità, che mi ha ispirato negli anni successivi.

Abbiamo avuto delle occasioni per rievocare quei mesi di sodalizio quando ci siamo rivisti, raramente, in alcune imprevedibili occasioni, a Napoli, in Toscana, a Roma, ogni volta impegnati nel lavoro per  testate diverse da quelle di allora, ma soprattutto ogni volta per parlare di un suo nuovo libro di successo, anche quando non ho condiviso le sue tesi, immeritatamente, non avendo io mai ceduto alla tentazione di scriverne uno. La sua insistenza nel dedicare in successione quei saggi improntati a smontare la stagione della Resistenza mi è sembrata eccessiva, quasi ossessiva, proprio perché  scritti con maestria e straordinaria capacità narrativa, messa al servizio di una tesi dura da accettare.

Tre anni fa la sorte gli ha provocato un dolore immenso: la morte del figlio Alessandro, 55 anni, ex amministratore delegato di Finmeccanica. Gli era stato di conforto l’affetto della moglie, Adele Grisendi, ex sindacalista e scrittrice. E lui aveva trovato la forza ancora di scrivere e di intervenire in talk show televisivi con la carica polemica e il sarcasmo che lo hanno sempre animato.

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Per rendergli omaggio a Roma è stata allestita la camera ardente alla clinica Quisisana (via Giacomo Porro n. 5). I funerali si svolgeranno domani 14 gennaio alle ore 16 a San Casciano dei Bagni in provincia di Siena.

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