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La norma inserita di soppiatto dal governo nel Jobs act che prevede il controllo a distanza sugli smatphone e i cellulari dei dipendenti è “spionaggio contro i lavoratori”, una sorta di “grande fratello”, afferma la segretaria della Cgil Susanna Camusso. «Sono molto preoccupata – dice – siamo di fronte a un’idea della vita delle persone sconvolgente che impedisce al lavoratore di essere libero».
Camusso, intervenuta a margine di un convegno sulla Pubblica amministrazione, ha spiegato che il sindacato «non si aspettava una misura di questo tipo. È evidente – ha sottolineato – che ci sia un abuso rispetto alle norme sulla privacy delle persone». Ed ha aggiunto: «La Cgil è pronta ad intervenire e valuterà tutto quello che è possibile fare, inizieremo dalle commissioni, sentiremo le authority, valuteremo ricorsi giudiziari, continueremo la mobilitazione e soprattutto la contrattazione».
Alla domanda se la norma sia incostituzionale Camusso ha risposto: «E’ perfino eccessivo tirare in ballo la Costituzione, basterebbe avere un po’ di rispetto per le persone per sapere che non va bene, credo che anche il Parlamento possa dire fino a che punto disprezzare il lavoro». Per Camusso questa mossa del governo «conferma l’idea di disinvestimento sul lavoro, che viene visto come merce giocata al ribasso, negando tutte le affermazioni fatte sulla lotta alla precarietà e sulla creazione di un mondo del lavoro migliore». Questa norma «è anche poco comprensibile, perché hai bisogno di un modello di questo tipo se non per dare un messaggio alle persone che non sono libere e che sono controllate, è quello che in letteratura abbiamo sempre definito come ‘grande fratello’».
Controlli su pc e cellulari aziendali senza ok – Le aziende potranno controllare computer, tablet e cellulari, così come i badge dei lavoratori senza che sia necessario un accordo sindacale o un’autorizzazione del ministero. Per il controllo sugli “strumenti” di lavoro messi a disposizione dalle imprese e su quelli per la “registrazione degli accessi e delle presenze” basterà quindi informare i lavoratori e rispettarne comunque la privacy.
Cambia così, con un altro dei decreti attuativi del Jobs act, la disciplina dei controlli a distanza, che riscrive lo Statuto dei lavoratori del 1970 (dopo articolo 18 e mansioni). Anche Cisl e Uil si oppongono: la norma “deve cambiare”. La novità arriva con uno degli ultimi quattro decreti legislativi – quello sulla razionalizzazione e semplificazione di procedure e adempimenti a carico di cittadini e imprese e altre disposizioni sul rapporto di lavoro – che, dopo il primo via libera del Consiglio dei ministri di giovedì scorso, è stato assegnato (insieme agli altri tre su cassa integrazione, Agenzia ispettiva e Agenzia politiche attive) alle commissioni competenti di Camera e Senato (Lavoro e Bilancio) che entro il 16 luglio dovranno esprimere il parere obbligatorio ma non vincolante. Per poi tornare in Consiglio dei ministri per l’ok definitivo. Novità che riguardano in particolare i dispositivi tecnologici (non presenti negli anni Settanta) ma che comunque danno il via libera ai controlli a distanza su questi strumenti aziendali.
Nello Statuto dei lavoratori si vieta l’uso di “impianti audiovisivi e di altre apparecchiature” per i controlli a distanza e, per le esigenze organizzative, produttive o di sicurezza del lavoro, si rimanda in ogni caso ad un accordo sindacale aziendale, con le Rsa. Invece nella relazione illustrativa che accompagna lo schema di dlgs si afferma: «L’accordo sindacale o l’autorizzazione ministeriale non sono necessari per l’assegnazione ai lavoratori degli strumenti utilizzati per rendere la prestazione lavorativa, pur se dagli stessi derivi anche la possibilità di un controllo a distanza del lavoratore». Diversa, invece, la previsione per gli impianti audiovisivi e gli altri strumenti dai quali – come si legge nel testo che all’articolo 23 riscrive l’articolo 4 dello Statuto dei lavoratori – derivi anche la possibilità di controllo a distanza dei lavoratori, che “possono essere impiegati esclusivamente per esigenze organizzative e produttive, per la sicurezza del lavoro e per la tutela del patrimonio aziendale e possono essere installati previo accordo” sindacale con le Rsu o Rsa. In alternativa, se l’impresa ha più unità produttive in diverse province o regioni, l’accordo si fa con i sindacati comparativamente più rappresentativi sul piano nazionale. In assenza dell’accordo, invece, serve l’autorizzazione della Direzione territoriale del lavoro o, nel secondo caso, del ministero del Lavoro. Questa disposizione, come prosegue la nuova norma, tuttavia, “non si applica agli strumenti utilizzati dal lavoratore per rendere la prestazione lavorativa e agli strumenti di registrazione degli accessi e delle presenze”. E i dati raccolti possono essere utilizzati “a tutti i fini connessi al rapporto di lavoro, a condizione che sia data al lavoratore adeguata informazione delle modalità d’uso degli strumenti e di effettuazione dei controlli” sempre “nel rispetto” del Codice sulla privacy. I sindacati non ci stanno.
“Siamo al colpo di mano”, afferma la Cgil con la segretaria nazionale Serena Sorrentino: queste novità “pongono un punto di arretramento pesante” rispetto allo Statuto dei lavoratori. “Non solo daremo battaglia in Parlamento”, ma “verificheremo anche con il garante della privacy se ciò si può consentire”, aggiunge. Questa norma “non va bene” e “deve essere cambiata”, afferma il leader della Cisl, Annamaria Furlan, rilanciando al contrario la contrattazione e assicurando che “ci faremo ascoltare anche nelle Commissioni parlamentari”. Sulla stessa linea la Uil, con il segretario confederale Guglielmo Loy: “Agiremo nelle sedi opportune per chiedere il cambiamento di questo provvedimento”. E attacca: “Non si capisce perché, ancora una volta, la deregolamentazione debba avvenire solo a vantaggio dell’impresa”.
Intervistato a Radio Cusano Campus, il segretario della Fiom, Maurizio Landini, è stato molto più netto: «Lo Statuto non si può cambiare, in questo modo si violano i principi fondamentali dei cittadini e dei lavoratori. Siamo di fronte ad un provvedimento che conferma la logica del governo, che trasforma il lavoro in una merce e non rispetta i diritti dei lavoratori, come quelli della libertà e della privacy. Sta passando una logica folle per cui il cittadino, nel momento in cui è nel luogo di lavoro, non è più una persona. Non ho capito cosa abbiano fatto a questo governo i cittadini che lavorano per vivere. Lo Stato dovrebbe ringraziarli perchè sono gli unici che pagano le tasse e invece se la prende sempre con loro. Forse qualcuno fa gli interessi di quelli che le tasse non le pagano. Il Jobs Act – ha rimarcato Ladini – è una porcheria, un porcellum del lavoro. Contratto a tutele crescenti? La tutela non c’è, non potrà mai essere raggiunta dal lavoratore, perchè l’azienda può licenziarlo in qualsiasi momento in maniera unilaterale, pagando soltanto una multa. Marchionne e Renzi coppia di fatto? Finora la Fiat non ha fatto alcuna assunzione con contratto a tutele crescenti, per adesso sono tutti interinali».
Ma si è subito capito che le tratto positive si contrapponevano alla quasi inesistente psicoattività della specie.