ROMA EUROPA FESTIVAL/ Il teatro e la verità: “The Repetition” di Milo Rau

di FEDERICO BETTA –

«Di fatto, il teatro è un dialogo con i morti». Questa citazione dal prologo de The Repetition di Milo Rau, andato in scena al Teatro Vascello all’interno di Roma Europa Festival, sembra il condensato più incisivo per parlare dello spettacolo del talentuoso artista svizzero.

Un lavoro davvero prezioso, un grande omaggio al mondo del teatro che si interroga sui meccanismi di verità e finzione procedendo per accumulo di dati, sensazioni, dettagli, giustapposizioni e contraddizioni che seguono quel paradigma indiziario tipico dell’inchiesta.

Il titolo The Repetition si riferisce all’atto di ripetere, alla ripetizione della messa in scena teatrale che riproduce sé stessa giorno dopo giorno. Ma come se tutto si componesse nello stesso momento in cui vi assistiamo, la ricerca prende vita passo dopo passo, per arrivare a sfiorare continuamente il limite di rappresentazione della violenza che interroga una società così bombardata da essersene abituata. In questo denouement, il lavoro chiama in causa in modo diretto il pubblico: gli spettatori assistono così a un duplice processo, quello della nascita dello spettacolo medesimo, in una riflessione metateatrale che parte dai casting di attori e non attori (in scena Sara De Bosschere, Sébastien Foucault, Johan Leysen, Tom AdjibiFabian Leenders, Suzy Cocco), fino al disvelamento di una vera e propria enquête che ricostruisce un caso di cronaca che in Belgio è stato molto discusso, la morte del trentaduenne Ihsane Jarfi picchiato da un gruppo di aggressori senza una reale motivazione.

Lo spettacolo è diviso in cinque capitoli, in un processo che si muove giustapponendo l’orizzonte documentaristico agli strumenti del teatro per sottolineare l’aspetto simbolico di ogni azione. La presenza della telecamera è una costante e gli attori, in un continuo dentro e fuori tra immedesimazione e narrazione, si confessano, ci guardano attraverso quel mezzo, ci mostrano una parte di loro e della realtà che altrimenti sarebbe celata.

L’uso del video, che si impone con la presenza ingombrante di un grande schermo che talvolta sembra oscurare il lavoro vivo sulla scena, è un doppio registro che mescola scene filmate realmente a scene riprodotte sul palco con video in diretta ad altri filmati girati precedentemente. Un continuo rimpallo tra realtà e percezione della medesima diventa un gioco basato sulle regole della finzione più autentica, quella che alla fine dello spettacolo chiama ancora una volta in causa lo spettatore: sarà capace di intervenire per evitare di lasciar morire un attore? Non serve che le cose accadano, è sufficiente arrivare al momento in cui stanno per accadere, perché ciò che conta è la domanda che ci interroga nel profondo. Questo sembra per Rau il senso più autentico del teatro, riuscire a interrogare la nostra percezione e la nostra posizione.

Con una poesia di Wisława Szymborska l’autore ricorda come l’atto più importante di una tragedia a cinque atti sia il sesto, quello che non si vede perché “Davvero sublime è il calare del sipario e quello che si vede ancora nella bassa fessura: ecco, qui una mano si affretta a prendere un fiore, là un’altra afferra la spada abbandonata. Solo allora una terza, invisibile, fa il suo dovere e mi stringe alla gola”. Si esce da The Repetition con una mano stretta alla gola e una sul cuore, portandosi dietro il senso di un mondo nuovo, di una rivoluzione che è possibile è reale. Basta crederci.

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