Renzi, il Pd e i tanti Ponzio Pilato

di NUCCIO FAVA –
Per tanti anni ho seguito intensamente la politica e le lotte e anche gli scontri di potere tra gli stessi alleati di governo, all’interno degli stessi partiti di maggioranza, alla dialettica con le opposizioni e il frequente cambio di governo. Duravano abbastanza poco ma veniva in qualche modo garantita la lealtà verso le istituzioni e nei rapporti maggioranza-opposizioni. Era la cosiddetta prima repubblica sempre più vituperata e forse superficialmente, con scarso senso storico, condannata.
I tempi cambiano velocemente anche in politica, specie a causa della terribile stagione delle tangenti e della corruzione generalizzata. Non sono mancati anche errori ed eccessi da parte di certe Procure. La responsabilità maggiore ricadeva comunque sulla politica stessa, incapace di un chiaro riconoscimento dell’urgenza di profondo rinnovamento, spesso però solo parolaio privo di adeguata assunzione di responsabilità. Tutto ciò si è confermato, pur con la grande novità dell’avvento di Berlusconi e della sua straordinaria capacità di realizzare alleanze, addirittura con Fini al sud e Bossi al nord.
A sinistra ci si illuse che bastasse cambiare nome e dichiarare conclusa per sempre la stagione democristiana, con un eccesso di superficialità e di incapacità a comprendere i problemi nuovi che emergevano nella opinione pubblica e le sfide del lavoro specie al sud e l’urgenza di impostare per tempo una nuova politica per l’Europa. Mali di fondo ben presenti nella situazione attuale che pure ha espresso la novità rilevante del successo enorme di leghisti e pentastellati, autentiche sirene per il popolo smanioso di novità e di nuovi leader. Il PD è stato al centro di questa bufera politica nel suo formarsi e svilupparsi che ha tra l’altro prodotto i nuovi capi: Di Maio e Salvini, la strana coppia che domina quotidianamente la scena, in parte in concorrenza tra loro, ma sempre in fondo capaci di accordarsi e cambiare registro con attitudine clamorosamente camaleontica. Valga per tutti l’esempio della petulante richiesta di colloquio con il capo dello Stato, inseguito addirittura durante l’importante visita di Stato nei Paesi Baltici. Sventolato con clamore sui media prima che al Quirinale ve ne fosse traccia.
Con la stessa sbalorditiva superficialità era stata minacciata la marcia su Roma e proteste di piazza contro il presidente Mattarella, di cui si è giunti addirittura a chiedere lo stato di accusa. Grazie a Dio la saggezza e il rispetto dei principi costituzionali da parte del presidente della Repubblica ha consentito in poche ore la soluzione della crisi e la formazione del governo Conte. Nel frattempo ogni occasione veniva sfruttata per fare chiassosa propaganda e strumentalizzare ogni occasione. Vuoi con le ripetute ossessioni del ministro dell’Interno sul tema dei migranti, le superficiali accuse a tutte le Ong o la minaccia di favorire l’uso delle pistole contro i rapinatori.
Dal canto suo Di Maio presentava il provvedimento sulla dignità delle persone, per affrontare teoricamente il tema drammatico dell’occupazione, che riceveva però un sostanziale rifiuto da parte degli imprenditori e i timori del sindacato.
Uno scenario aggravatosi sin dal clamoroso risultato della bocciatura del referendum costituzionale con le dimissioni di Renzi e il mancato rispetto dell’impegno assunto di lasciare per qualche tempo la politica. Risultato mai raggiunto perché a Renzi non è mai piaciuto rinunziare al ruolo di capo, che ha sconsideratamente confermato anche in occasione dell’ultima direzione. Non si è potuto di fatto eleggere un nuovo segretario con pienezza di responsabilità, ma con il compito sostanzialmente limitato alla gestione sino al congresso. Renzi ha responsabilità enormi, proseguite con cocciutaggine ancora oggi. Ma in un partito le responsabilità non sono soltanto quelle del capo: sono anche di coloro che gli consentono di agire indisturbato, e glielo consentono o per pavidità o per incapacità di contrastarlo. In una fase drammatica come l ‘attuale è oltre modo grave che dirigenti come Franceschini, Minniti, gli stessi Gentiloni e Zingaretti non abbiamo sentito il dovere di intervenire nel dibattito e proporre con forza alternative alla linea del capo (per di più dimissionario e sfiduciato nei sondaggi). Il rischio è che in attesa della partita congressuale, che, tutti gli oppositori di Renzi facciano ancora i Ponzio Pilato.

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