POLITICA-SPETTACOLO/ “Esordio” di Conte da oratore politico, Grillo “visionario” sul ruolo del capo dello Stato, Renzi rottamatore della verità

di ENNIO SIMEONE –

E’ stata una domenica politica particolare quella di oggi, con tre protagonisti: il presidente del Consiglio Giuseppe Conte, il padre fondatore del Movimento Cinquestelle Beppe Grillo e  l’ex presidente del Consiglio Matteo Renzi.

Il primo e il terzo  hanno avuto come teatro il Circo Massimo, dove si è svolta la seconda giornata  della festa nazionale dei Cinquestelle, il secondo si è esibito nella casalinga “Leopolda” fiorentina (9° edizione).

Ma quella che ha fatto più rumore (perché spropositatamente amplificata dall’opposizione e dai mezzi di comunicazione a sua disposizione) è stata l’esibizione di Grillo. Il quale, tra il comico e il serio, agitando una mano di plastica (come riferimento alla “manina” che, secondo Di Maio, avrebbe  modificato – allargando le maglie del condono –  il  testo del decreto fiscale nel passaggio dal Consiglio dei ministri al Quirinale) ha tirato fuori un argomento che da tempo gli sta a cuore: quello dei poteri attribuiti dalla Costituzione al presidente della Repubblica. Lui ritiene che siano eccessivi: capo delle forze armate, facoltà di nomina di 5 membri della Corte costituzionale, presidente del Consiglio superiore della magistratura, facoltà di sciogliere le Camere, eccetera. E lo ha detto con la mimica e il fraseggio da attore comico, da teatrante, sempre in bilico tra il serio e il faceto, tra il politicamente scorretto e il paradossale.

Apriti cielo. La sua sceneggiata è finita nei  nei titoli di apertura dei siti web, e rilanciata da esponenti di vario livello dei partiti di opposizione come spunto per denunciarla come come “atto eversivo”,”minaccia al sistema democratico”, attacco alla Costituzione e attacco personale a Mattarella, benché le sue parole non fossero rivolte contro la persona dell’attuale presidente della Repubblica, ma si riferissero genericamente alla figura e al ruolo del titolare del Quirinale così come delineata dalla carta costituzionale. L’operazione Grillo continuerà domani sulle prime pagine dei giornali: c’è da giurarci.

La cosa è servita anche ad oscurare l’altro evento che ha avuto come proscenio il Circo Massimo: il discorso, il primo in una manifestazione politica, quella dei Cinquestelle, del presidente del Consiglio Giuseppe Conte. Il quale, uscendo dal riserbo e dai toni dimessi osservati nei primi cinque mesi di governo giallo-verde, ha scelto di uscire dal ruolo di “mediatore” tra le due forze politiche che hanno firmato il “contratto di governo” e di presentarsi davanti alle telecamere nel ruolo di protagonista di quel contratto, esaltandone i contenuti  e facendosi garante della loro attuazione, spingendosi fino a garantire la durata del governo fino al 2013. Così Conte ha contraddetto il ritratto, che le opposizioni e i mass media ne hanno fatto finora, di mero esecutore della volontà dei due partiti contraenti di quel contratto. E con l’occasioni ci ha tenuto a far sapere di essersi decurtato del 20 per cento lo stipendio di presidente e di essersi ridotta la scorta.E ciò non è stato accolto di buon grado da coloro che preferiscono dipingerlo come un “signorsì” ai voleri di Salvini e Di Maio.

A Firenze, invece, l’ex Matteo Renzi ha concluso il nono appuntamento della “Leopolda” ricorrendo ai soliti ingredienti dei suoi discorsi. Sotto il titolo “Ritorno al futuro” ha riproposto – pur negandolo – il proposito di riappropriarsi del partito, annunciando la formazione di “comitati civici”, pronti a scendere in campo in caso di molto ipotetica convocazione del congresso del Pd (di cui però non ha indicato né l’urgenza né sollecitato la data), e giustificando il rifiuto che oppose alla proposta dei Cinquestelle di un rapporto con il centrosinistra per la sottoscrizione di un contratto di governo  prima di proporlo alla Lega. E ha concluso il suo discorso finale prendendosela ancora una volta con i nemici, non solo esterni ma anche interni, e con una molteplice balla: «Il Pd, con un leader (lui), ha preso il 40% alle europee nel 2014 e al referendum costituzionale nel 2016; senza un leader (sempre lui) ha preso il 18% nel 2018». Argomentazione mendace basata su dati falsi: 1. il 40% lo ebbe distribuendo alla vigilia di quelle elezioni il bonus da 80 euro a 10 milioni di persone; 2. al referendum il 40% di sì non erano del Pd, ma di una platea di forze eterogenee anche estranee al Pd; 3. in elezioni amministrative, successive sia alle europee sia al referendum, quando lui era ancora il leader, il Pd ha subito una serie di  cocenti sconfitte in roccaforti della sinistra; 4. anche alle elezioni del 4 marzo la sconfitta del Pd porta la sua firma, perché è stato lui a scegliere la grande parte dei candidati di quel partito.

 

 

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