PERISCOPIO/ Le pacate ragioni del No di Paolo Prodi alla riforma costituzionale

Nuccio-Fava-545x384di NUCCIO FAVA – In metropolitana verso la stazione Termini ascolto due insegnanti che discutono del referendum: troppa confusione, un clima esagitato, testi scritti male che non facilitano la scelta. Provo considerazioni analoghe nell’intervento di un eminente intellettuale, storico illustre e tra i fondatori della rivista Il Mulino a Bologna negli anni ’60, all’inizio dei moti studenteschi che infiammarono progressivamente gli atenei italiani. Si è sempre occupato di ricerca storica, è stato rettore dell’Università di Trento, ha da poco pubblicato un interessante libro sull’Europa con Massimo Cacciari. E’ il fratello maggiore di Romano Prodi, ma non ha mai fatto politica militante, senza tuttavia rinunciare mai all’impegno culturale e civile. In questo senso va letto il suo No al referendum sulla riforma costituzionale: scritta male, con troppe ambiguità, difficile da comprendere per i cittadini.

Una materia così rilevante ed ambiziosa avrebbe dovuto, secondo lo storico Paolo Prodi, essere affrontata in pochi punti essenziali tali da essere immediatamente comprensibili anche da ragazzi delle elementari e studenti delle medie. Perciò Paolo Prodi richiama anche un fattore estetico per motivare il suo No: dopo la figlia, anche il fratello Paolo si schiera per il No per ragioni di decenza istituzionale e di giudizio stilistico.

Davvero sorprendente perciò la posizione del fondatore de La Repubblica che “bacchetta” il professore Zagrebelsky sul tema dell’oligarchia. Scalfari fa un suo personale excursus storico dall’impero romano ai giorni nostri scavalcando a pie’ pari le drammatiche vicende del secolo breve, con le dittature e il terribile costo dell’ultima guerra mondiale. Non sono state certo le oligarchie o le dittature a liberarci, ma una coalizione internazionale guidata dagli Stati Uniti. Il discorso sarebbe lungo, ma francamente cosa c’entrino le oligarchie col referendum resta, se non un mistero, un interrogativo abbastanza confuso. Né si può tirare in ballo la Chiesa che non ha una struttura democratica ed appartiene comunque ad un ordine diverso dagli Stati. Eppure il governo della Chiesa si regge su organismi composti e presieduti da prelati provenienti dalle più diverse parti del mondo; migliaia di diocesi e migliaia di vescovi interferiscono sempre più spesso nelle scelte in appositi sinodi, per non dire del collegio cardinalizio, dei concili, del Conclave.

Può risultare discutibile e persino fuorviante tirare in ballo la Chiesa cattolica dentro le singolari riflessioni scalfariane sul valore dell’oligarchia, quasi pretesto per prendere malamente in castagna il professore Zagrebelsky. Che è invece del tutto “innocente” rispetto alle critiche di Scalfari.

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