PERISCOPIO/ di Nuccio Fava/Ma in Italia non spira il vento di Macron

di NUCCIO FAVA – Scherzosamente Renzo Arbore in “Quelli della Notte” cercava di tirarci su ripetendo con Lino Banfi “se Parigi tenesse lu meri sarebbe una piccola Beri”. Le cose non stanno così e l’ultima mossa del nuovo presidente francese lo dimostra abbondantemente. Di fronte alla sua prima crisi di governo, con l’uscita di tre ministri del MoDem (democratici moderati) di Francois Bayrou, che ha avuto un ruolo decisivo nelle elezioni presidenziali di febbraio, Macron ha accolto le immediate dimissioni non solo di Bayrou ministro di giustizia, ma anche di Marielle de Sarnez e di Sylvie Goulard per una storia simile alla casa di Montecarlo che inguaiò l’onorevole Fini, ma anche per l’utilizzazione, ritenuta abusiva, delle indennità di assistenti parlamentari a Bruxelles a favore del partito di Bayrou. Vicende che purtroppo hanno riguardato anche parlamentari europei pure di casa nostra e crearono qualche scandalo quando si scoprì che la discutibile pratica veniva utilizzata tranquillamente anche da Marine Le Pen.

Giusto non compiacersi mai dei guai altrui. Ma certo fa impressione vedere la immediata capacità di provvedere da parte di Macron, rispetto allo spettacolo offerto dal Senato italiano nei confronti del ministro Lotti e della sottosegretaria Boschi, sospettati di ben altro discredito per le istituzioni e per la politica. In realtà da noi tutto è assorbito dall’attesa spasmodica dei ballottaggi di domenica. Dai principali sono già stati esclusi i 5stelle ed anche all’interno del Pd se ne teme l’esito. Sarebbe una ennesima sconfitta per il leader segretario, dopo la batosta referendaria e l’uscita di Bersani e soci che hanno dato vita ad una nuova formazione che richiama l’articolo 1° della Costituzione e nostra Repubblica fondata sul lavoro. Renzi annaspa evidentemente in acque non tranquille e spera di riuscire a confermare alcuni sindaci. L’opinione pubblica però è stanca e avvilita per il degrado della nostra vita pubblica e potrebbe rispondere con una forte astensione che non risparmierebbe nessuno. Ma di questo i nostri partiti sembrano quasi compiacersi e guardano solo a racimolare qualche voto in più, a destra o a sinistra poco importa, purché si mantenga un certo peso nella gestione del potere.

Il presidente del Consiglio è sempre più imbrigliato in un ruolo di facciata e di copertura alle dipendenze e nell’interesse del segretario-leader, senza una vera prospettiva credibile, addirittura minacciato di caduta per le dimissioni di Angelino Alfano, servitore di molti padroni compreso lo stesso Renzi, almeno per lungo tratto e la promozione addirittura a ministro degli Esteri. Renzi chiaramente cerca di tenere la testa fuori dalle onde ma il compito è arduo perché dalla vicenda Consip ne esce comunque malconcio e poi è strutturalmente allergico alla costruzione di alleanze indispensabili per governare. Né vale allertare all’ultimo minuto il fido Lotti, che credo sia il meno adatto a raccogliere risultati nel tentativo di dialogo con l’ex sindaco di Milano Pisapia. E’ forse più probabile che l’abile ex Cavaliere rimetta in piedi una alleanza, neppure per lui troppo singolare, con Lega e Fratelli d’Italia : una soluzione alla ligure, per dirla con il presidente Toti. Che sarebbe una catastrofe soprattutto per il Pd e il suo intrepido segretario. Partito con l’infelice, anche lessicalmente, operazione di rottamazione e ritrovatosi in mille giorni autorottamato.

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