PERISCOPIO/ Ascoltare i faccia a faccia sul referendum pensando a De Gaulle

Nuccio-Fava-545x384di NUCCIO FAVA – Ormai a quasi due mesi dal voto referendario, praticamente ad ogni ora del giorno e della notte, non si sfugge ad un confronto televisivo sui temi del Referendum. Prevale in genere una logica spesso urlata e caratterizzata da sovrapposizione di voci e da interruzioni, che rendono poco comprensibile gli argomenti e i temi affrontati, mentre prevale una logica tutta politica di imposizione del proprio punto di vista, ritenuto comunque il migliore e il più adatto agli interessi del paese.

Mi ero disposto di buon animo  ad ascoltare Su La7 “Otto e mezzo” dell’altra sera, con la partecipazione della ministra Boschi e del leader della lega Salvini. La delusione però è stata grande sino a rasentare lo sconcerto. La posizione di Salvini era per certi versi scontata, legata al suo schema populista consolidato e che a suo modo coglieva però nel segno. Soprattutto perché usava come schermo la linea critica del professor Valerio Onida, illustre giurista, che sin dall’inizio ha criticato la riforma Renzi-Boschi definendola un pasticcio, destinato non a riformare in meglio il nostro profilo costituzionale, ma a peggiorarlo con il risultato di un grande pasticcio. Salvini “sparava” anche  sul tema delle banche e dei gravi danni derivati ai risparmiatori con inevitabile riferimento a banca Etruria e al suo vice presidente padre della ministra.

La Boschi ovviamente ha cercato di parare il colpo, sostenuta anche dalla Gruber, che tentava con imbarazzo di ripetere: “Il tema è la riforma della Costituzione e in ogni caso le colpe dei padri non possono ricadere sui figli“. Anche la ministra Boschi sceglieva la stessa linea e si lanciava, con scarsa efficacia, ad illustrare i grandi meriti che la sua riforma avrebbe conseguito insistendo sulla riduzione dei costi della politica, sulla riduzione del numero dei parlamentari, sulla semplificazione dei rapporti Stato-Regione. Restava comunque centrale la forte, anzi fortissima, declamazione su due punti: se non passa la riforma l’Italia resterà nella palude e nell’immobilismo, per almeno trent’anni non sarà più possibile cambiare il paese; ogni processo riformatore sarà bloccato e anche in Europa, negli USA e nel mondo, pure con riferimento ai possibili investimenti economici in Italia, si avrà la negativa conseguenza che il nostro paese è destinato all’immobilismo e alla palude.

Com’è immaginabile le risposte di Salvini non sono mancate, soprattutto criticando la politica governativa nei confronti del fenomeno migratorio e la subalternità ai burocrati di Bruxelles e ai poteri forti che utilizzano l’euro contro i popoli europei. Non si è parlato del futuro del governo in relazione all’esito del Referendum anche perché negli ultimi giorni Renzi ha fatto ripetutamente marcia indietro, sostenendo che non è in gioco il governo o la sua decisione di abbandonare la vita politica, quanto piuttosto il destino dell’Italia.

Confesso di non aver capito, nemmeno dalle dichiarazioni della Boschi, che cosa i grandi protagonisti dell’avventura referendaria intendano fare il 5 dicembre. Tema questo che in modo un po’ terroristico era stato lanciato nel dibattito dal presidente segretario, seguito in modo repentino dalla ministra delle riforme che aveva affermato subito che anche lei avrebbe abbandonato il campo se avessero prevalso i no. Ovviamente ciascuno è libero di regolare come meglio ritiene le proprie responsabilità politiche, mentre resta incomprensibile perché da un referendum, per quanto importante, si debba far discendere con inevitabile allarmismo il futuro politico e istituzionale di un intero paese.

Cameron, che aveva usato strumentalmente la Brexit, sconfitto, si è dimesso da tutto. Ma con un esempio sicuramente molto più alto si può ricordare De Gaulle che si dimise dopo un referendum tutto sommato minore, che riguardava la riforma del Senato. Si ritirò in una casa di campagna e scrisse delle belle memorie che ancora si possono leggere con interesse e piacere.

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