OSSERVATORIO USA/ La realtà alternativa di Trump sugli immigrati

di DOMENICO MACERI* – “D’ora in poi porterò i miei documenti di cittadinanza nel vano portaoggetti dell’auto”, ha detto la mia amica sudamericana all’indomani dell’elezione di Donald Trump a presidente. Ho pensato per un po’ che la mia amica stesse esagerando, ma il clima anti-immigrazione, aggravato dal bando islamico di Trump, mi ha fatto concludere che probabilmente aveva ragione.

L’America è un paese di immigrati ma l’aspra retorica  di Trump durante la campagna elettorale e nella sua amministrazione dipinge un quadro che gli immigrati non riconoscono. Se si ascolta Trump anche casualmente, si potrebbe pensare che viviamo in un mondo pericolosissimo e dobbiamo concentrare tutte le nostre energie sulla nostra protezione. Gli immigrati  irregolari stanno invadendoci dal Messico creando instabilità e crimine, secondo Trump. Il presidente non sembra in grado di vedere al di là di alcuni problemi evidenti introdotti dagli immigrati, incapace però di riconoscere i grandi contributi dei nuovi arrivati. Non si sente mai  qualcosa di positivo uscire dalla bocca di Trump sugli immigrati e il loro valore per il Paese.
È strano che lui abbia opinioni talmente negative sugli immigrati considerando i suoi legami familiari. Dopotutto, la madre è nata in Scozia, la sua prima moglie, Ivana, è nata in Cecoslovacchia (oggi Repubblica Ceca) e la sua attuale moglie, Melania, è nata in Slovenia. E lui stesso non è contrario a assumere lavoratori stranieri per il suo resort in Florida, preferendoli agli americani che hanno bisogno di posti di lavoro. Trump sembra distinguere quindi tra i “suoi” immigrati e tutti gli altri.
A parte la sua famiglia, la visione di Trump sugli immigrati non è diversa da quella desolata che lui ha dell’America. Nel suo discorso di accettazione alla convention repubblicana la scorsa estate e nel suo discorso inaugurale il mese scorso  ha dipinto il quadro di un’America come disastro totale, facendo riferimento alla “carneficina” subita dal Paese. Questa visione è stata con ogni probabilità condivisa dalla maggior parte di coloro che lo hanno votato, ma gli immigrati hanno un quadro diametralmente opposto quando pensano all’America.
Oggi gli immigrati riconoscono che l’America è la terra delle opportunità, proprio come quelli che sono venuti prima di loro. Vedono un Paese ricco che riesce ad amalgamare  persone provenienti da tutto il mondo. I fatti lo confermano. Anche se Trump continua  a concentrarsi sulla sua visione errata che gli americani  “non vincono più”, il prodotto interno lordo degli Stati Uniti pone l’America al primo posto nel mondo. Militarmente, gli Stati Uniti sono considerati l’unica superpotenza. Politicamente e culturalmente, gli Stati Uniti sono anche ai più alti livelli.
Le opinioni negative di Trump sulla situazione americana avrebbero potuto essere comprensibili durante la campagna elettorale quando i candidati esagerano sempre la situazione attuale per conquistare voti. Una volta finita l’elezione, però, ci si aspetterebbe uno spostamento verso il centro. Con Trump così non è stato.

Il suo recente ordine esecutivo  per  bloccare l’ingresso da sette Paesi per lo più musulmani lo conferma. Il bando ha creato sgomento e confusione tra gli immigrati.
Inizialmente, anche le persone con cartellini verdi  venivano bloccate se avevano legami con i sette Paesi in discussione. Ciononostante, nessun attacco terroristico è attribuibile a questi Paesi, mentre l’Arabia Saudita e l’Egitto, i due Paesi da cui proviene la maggior parte degli autori dell’11 settembre, non sono stati inclusi nel bando.
Il caos negli aeroporti creato dal bando ha generato paura anche tra gli immigrati già presenti nel Paese. Le università hanno incoraggiato i loro  studenti stranieri a non viaggiare fuori degli Stati Uniti, temendo che non potrebbero essere riammessi nel Paese.

Il divieto, come si sa, è stato bloccato da un giudice dello Stato di Washington e la sentenza è stata confermata dai tre giudici della Corte d’Appello, che non ha visto “nessuna prova” di possibili attacchi terroristici provenienti dai sette Paesi in questione. Nonostante la “vittoria”, il clima di incertezza e di paura rimane particolarmente tra gli immigrati non autorizzati.
Le recenti retate in almeno sei Stati da parte dell’Immigration and Customs Enforcement (ICE), l’agenzia per il controllo delle frontiere e l’immigrazione, hanno deportato un numero significativo di immigrati irregolari. Alcuni di questi individui avevano precedenti penali, ma molti altri semplicemente non possedevano documenti legali per essere nel Paese.  Le famiglie sono state separate e in alcuni casi sono stati espulsi i genitori mentre i figli rimangono negli Stati Uniti. Le incursioni più recenti riflettono un cambiamento dei tempi dell’amministrazione di Obama, le cui priorità  delle deportazioni si concentravano sugli individui con precedenti penali. Le recenti retate sono state condotte in centri urbani, invece che in comunità agricole. Deportare le persone che raccolgono la frutta e verdura sarebbe naturalmente un disastro per gli agricoltori. Gli affari sono affari, dopotutto.
In una recente intervista, Kellyanne Conway, uno dei principali consiglieri di Trump, ha dichiarato al programma Meet the Press della Nbc  che il portavoce di Trump  non aveva mentito sulle dimensioni della folla all’inaugurazione, ma aveva semplicemente offerto “fatti alternativi”. Trump sembra vivere in una realtà alternativa vedendo gli Stati Uniti in termini apocalittici. Gli immigrati sono parte della sua visione oscura e nella sua mente rappresentano una seria minaccia.
Si tratta di un’immagine totalmente lontana  della realtà.

L’ex presidente Barack Obama nel suo discorso di commiato ha centrato la sua visione dell’America quando ha parlato dei forti valori del nostro Paese e dei progressi compiuti verso il raggiungimento degli ideali dei nostri padri fondatori. Obama ha continuato a dire che non abbiamo raggiunto la meta perché il progresso non è uniforme e a volte sembra che per “ogni due passi in avanti, si ha spesso l’impressione di fare un passo indietro”. Gli Stati Uniti hanno fatto due passi avanti nel 2008 e nel 2012, quando gli americani elessero Obama presidente. Nel 2016 il Paese ha fatto un passo indietro non solo per gli immigrati ma per il resto dell’America.

*Domenico Maceri
è docente di lingue all’Allan Hancock College, Santa Maria, California  (dmaceri@gmail.com)

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