OSSERVATORIO AMERICANO/ Un anno di Trump: buona economia ma molte ombre

di DOMENICO MACERI* – Citando la Fox News, Donald Trump in un tweet ha detto che è impossibile “verificare le affermazioni di collusione Trump/Russia” e che la “Fbi è corrotta”. Sembra un messaggio di campagna elettorale ma il 45esimo presidente lo ha mandato qualche giorno fa dopo avere completato il primo anno alla Casa Bianca.
L’inaspettata vittoria nel 2016 continua a dominare i dubbi sulla sua legittimità specialmente considerando l’ombra del Russiagate. Ciononostante Trump ha, nel male e nel bene, completato un anno da presidente. Tirando le somme, il Paese si trova economicamente bene ma sotto molti altri aspetti non si vedono che ombre.

L’economia ha continuato a migliorare soprattutto guardando i risultati di Wall Street con un 25 per cento di aumento del Dow Jones. La disoccupazione è scesa dal 4,8 al 4,1 per cento. Si tratta di numeri che dovrebbero fare piacere al presidente, il quale li potrebbe citare ad nauseam per dimostrare che siamo sulla strada giusta. Trump dice molte cose contraddittorie ma per potere vendere la sua riforma fiscale con tagli alle tasse delle corporation e dei benestanti non ha spinto molto sul tasto positivo dell’economia. La riforma fiscale è stata venduta come sprone all’economia e quindi bisogna giustificarla come necessaria per migliorarla. Il fatto che le corporation e i benestanti continuano a possedere montagne di soldi non quadra con la necessità di ridurre le tasse. La parte dell’economia che richiede attenzione verte sulla diseguaglianza, che a Trump interessa poco.

C’è poi l’aspetto politico della riforma fiscale. Con la maggioranza in ambedue le Camere e il controllo del potere esecutivo i repubblicani dovevano dimostrare di potere governare ed avevano bisogno di una vittoria. Dopo avere fallito clamorosamente con la revoca dell’Obamacare, silurata al Senato da tre repubblicani, la riduzione delle tasse era il facile gol da segnare, dato che i tagli alle imposte fanno piacere a tutti i repubblicani.

La riforma fiscale è però poco popolare tra gli americani. L’approvazione si aggira sul 25-30 per cento secondo parecchi sondaggi. In effetti, l’americano medio la vede per quello che è: un regalo ai benestanti.

Queste cifre di popolarità si avvicinano a quelle sull’operato di Trump (32-35 per  cento), numeri bassissimi specialmente se si considera lo stato dell’economia. In linea generale, quando l’economia va bene il presidente riceve il credito, anche se il suo impatto potrà essere stato poco influente. Trump infatti ha ereditato dal predecessore Barack Obama una situazione economica in buono stato. Obama, invece, aveva ricevuto un’economia a brandelli da George W. Bush. Dopo otto anni di Obama l’economia si trova sulla strada giusta e Trump merita credito per non averla rovinata.

Trump però ha fatto parecchio in campo sociale in una direzione negativa. Quando un presidente viene eletto cerca subito di mettere la sordina alla campagna politica e cerca di unificare il Paese sorridendo non solo a quelli che lo hanno votato ma anche a quelli che hanno scelto il suo avversario. Trump non ha dato segnali in questa direzione. Infatti, i suoi continui tweet e i suoi comportamenti spesso poco presidenziali ci ricordano gli atteggiamenti della campagna elettorale. I suoi fedelissimi continuano ad approvare il suo operato ma non è riuscito ad ampliare il suo supporto con gli indipendenti per non parlare dei democratici.

Trump merita credito per avere mantenuto alcune delle sue promesse, come ci confermano le sue nomine di giudici. Spicca in questo senso la conferma alla Corte Suprema di Neil Gorsuch,  che si sta dimostrando conservatore, poco diverso dal suo predecessore Antonin Scalia.

In politica estera il 45esimo presidente ha poco da esibire come successi. L’abbandono dell’accordo di Parigi sul riscaldamento globale e quello del  TPP, Trans-Pacific  Partnership, e la sua spavalderia in rapporto alla Nord Corea faranno sorridere i suoi fedelissimi ma non rassicurano affatto gli alleati americani. La politica estera di Trump ha seguito la sua linea isolazionista di “America First” basata sul concetto che gli altri Paesi si sono approfittati degli Stati Uniti. Il 45esimo presidente sembra non capire che gli Stati Uniti sono il potere globale e come tale non si possono permettere di abbandonare gli alleati anche perché crea spazio ad avversari come la Russia e la Cina per occupare il vuoto politico internazionale.

Nessuna luce per la pace nel Medio Oriente, il cui compito era stato dato a suo genero, Jared Kushner. La situazione è peggiorata infatti con la dichiarazione di riconoscimento di Gerusalemme come capitale di Israele. Le Nazioni Unite hanno condannato l’annuncio e Trump ha reagito  tagliando i contributi americani all’organizzazione internazionale, confermando i suoi atteggiamenti di leader immaturo.

In sintesi, dopo un anno di Trump alla Casa Bianca, il Paese e il mondo sono meno sicuri per la volubilità del 45esimo presidente. Il pericolo maggiore però rimane nell’incapacità di Trump di accettare la realtà obiettiva e nell’interpretare gli eventi con il suo filtro del narcisismo. Tutto ruota intorno a lui. Se qualcosa non gli va bene lui addossa la responsabilità ad altri, spesso attaccando le istituzioni del Paese come la Fbi, la Cia, il potere giudiziario, e persino i leader del suo partito. L’unica eccezione è Vladimir Putin. Il leader russo ha detto più d’una volta a Trump che il suo Paese non ha interferito nelle elezioni americane. Trump gli o crede, dimenticando che Putin è un ex agente del KGB.

*Domenico Maceri è docente di lingue all’Allan Hancock College, Santa Maria, California  (dmaceri@gmail.com)

Commenta per primo

Lascia un commento