OSSERVATORIO AMERICANO/ Trump sterza al centro ma solo per un poco

Domenico Maceridi DOMENICO MACERI* – “Ha bisogno di un individuo con molta esperienza e ben informato perché è ovvio che lui non sa molto delle questioni politiche”. Parla il presidente del Senato Mitch McConnell mentre raccomanda le qualità necessarie per l’eventuale vice presidente di Donald Trump. Come si sa, il magnate di New York ha già in tasca la nomination del Partito Repubblicano. Ciononostante continuano i dubbi sul suo modo di condurre la campagna elettorale. McConnell non fa altro che reiterare ciò che altri membri del suo partito hanno già espresso in altre sedi. Trump deve cambiare musica  se vuole vincere le elezioni presidenziali a novembre.

Il magnate di New York è riuscito a conquistarsi la nomination mediante una lunga serie di slogan ed attacchi personali ai suoi sedici avversari nelle primarie. Allo stesso tempo Trump si è alienato diversi gruppi con la sua retorica negativa. Ha apostrofato i messicani di essere stupratori, ha proclamato il divieto di ingresso ai musulmani, ha insultato le donne, i disabili, la stampa e chiunque altro lo abbia minimamente criticato in qualche modo.
Nonostante tutto, con vaghe promesse di costruire un muro al confine messicano e con altri slogan puntati sul ritorno alla grandezza americana del passato, Trump è riuscito a comunicare con la maggioranza degli elettori repubblicani alle primarie e conquistarsi i loro voti. Si credeva che dopo le primarie Trump avrebbe apportato dei cambiamenti ai contenuti e al tono spostandosi verso il centro, come spesso avviene una volta iniziata la campagna dell’elezione generale.
Trump invece ha già dichiarato che non cambierà nulla. Continuerà con la strategia vincente delle primarie che lui crede gli aprirà le porte della Casa Bianca.
Sembrava che dopo il suo incontro con Paul Ryan, speaker della Camera, che aveva esitato a dargli il suo endorsement, le cose sarebbero cambiate. Ma poi Trump ha continuato i suoi attacchi che gli hanno fatto guadagnare l’aggettivo di razzista. Si tratta ovviamente dell’accusa di Trump al giudice federale Gonzalo Curiel che il magnate di New York ha dichiarato non qualificabile del suo processo sulla Trump University perché il giudice è messicano (non è vero: è nato in Indiana).
Ryan ha definito questa caratterizzazione come “razzismo da manuale” e ha affermato che lui  “sconfessa completamente” questi commenti indifendibili. La pressione di altri politici repubblicani ha costretto Trump a chiudere questa impostazione su Curiel anche se non ha ammesso il suo sbaglio e non ha presentato scuse.

Qualche settimana fa Trump aveva dato l’impressione che volesse cominciare a misurare le parole, come ci ha dimostrato uno dei suoi discorsi. Invece di parlare senza usare appunti, come spesso fa nei suoi comizi tutti pieni di ripetizioni con un vocabolario poverissimo, Trump ha fatto uso del teleprompter, anche se goffamente, facendo un discorso che aveva dato l’impressione di un possibile cambiamento.

È durato poco, perché quasi subito Trump ha ripreso i suoi attacchi personali per difendersi dalle critiche di Elizabeth Warren, senatrice liberal del Massachusetts, la quale ha etichettato Trump come inqualificabile per la carica di  presidente, definendolo un bullo narcisista pieno di insicurezze. La risposta immediata di Trump è consistita nell’additare  la Warren con il nomignolo denigratorio di Pocahontas perché ai tempi dell’elezione al Senato nel 2012 l’ex professoressa di Harvard aveva messo in evidenza le sue origini nativo americane. Insultando la Warren, Trump ha aggiunto un altro gruppo alla sua lista, causando risentimento in  tutti i nativi americani.
Dopo la recentissima strage di Orlando Trump ha insistito di nuovo sulla sua idea di vietare l’ingresso ai musulmani. Paul Ryan di nuovo ha criticato questa asserzione, riprendendo le distanze dall’eventuale portabandiera repubblicano a novembre. Altri luminari hanno fatto la stessa cosa mentre si riaccende l’idea di togliere l’endorsement annunciato da parecchi di loro.
Questi continui dubbi sulla serietà di Trump sono anche confermati dai donatori a sostegno del  Partito Repubblicano che fino al momento non hanno aperto i loro portafogli per aiutare il magnate di New York a raccogliere il miliardo di dollari necessario per coprire le spese della campagna. In mancanza di questi notevoli contributi Trump potrebbe essere costretto ad accettare i finanziamenti pubblici con i relativi limiti imposti al candidato. Oppure potrebbe finanziare la sua campagna spendendo i suoi quattrini.
Nel frattempo i suoi critici continuano ad aumentare. Un sondaggio del Washington Post/Abc News ci informa che il 70 per cento degli americani vede Trump in termini negativi, in aumento di dieci punti rispetto al mese di maggio.
“Credete che cambierò?” – ha chiesto retoricamente Trump ad un gruppo di giornalisti. “Non cambierò”, ha ripetuto il portabandiera imm pectore del Gop a novembre. Cambieranno Ryan e McConnell o continueranno ad abbracciare il palese razzismo di Trump?

*Domenico Maceri Docente di lingue all’Allan Hancock College, Santa Maria, California  (dmaceri@gmail.com)

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