OSSERVATORIO AMERICANO/ Trump e la stampa: fine della co-dipendenza?

Domenico Maceridi DOMENICO MACERI* – “Trovo la stampa estremamente disonesta”. Ecco come Donald Trump, l’ormai probabile destinatario della nomination repubblicana, ha apostrofato recentemente i giornalisti presenti alla sua conferenza stampa sulle donazioni dovute ai veterani. Trump era arrabbiato con i giornalisti perché il Washington Post aveva scritto un articolo che chiedeva conto di dove erano finite le donazioni che il magnate di New York aveva promesso ai veterani. Si trattava di fondi raccolti da Trump durante un evento che aveva organizzato lo stesso giorno di un dibattito per le primarie. Irritato dalla Fox News, Trump decise di boicottare il dibattito raccogliendo nel suo evento 6 milioni di dollari grazi alla sua fama senza però firmare gli assegni ai gruppi di veterani. È venuto a galla che la cifra raggiunta era inferiore ai 6 milioni annunciati e che il milione promesso personalmente da Trump non aveva raggiunto la destinazione.

La rabbia di Trump raggiunse toni inaccettabili che inclusero insulti diretti ad alcuni giornalisti presenti. Uno di loro gli chiese se questo sarebbe stato il tono delle sue conferenze stampa una volta diventato presidente. “Infatti”, fu subito la risposta del candidato repubblicano. Ma, nonostante l’ovvio disappunto di Trump, il rapporto con i mezzi d’informazione, specialmente la televisione e la radio, riflette una simbiosi mai vista prima. I media sono stati usati da Trump per la sua campagna creando però benefici economici agli addetti ai lavori.

Secondo un calcolo del New York Times, Trump ha ricevuto “gratis” l’equivalente di 2 miliardi di dollari di ore televisive. Allo stesso tempo i media ci hanno guadagnato, dato che la presenza di Trump ha fatto ottenere loro grandi successi di audience, che poi si traducono in montagne di quattrini in pubblicità.

La presenza di Trump in televisione rivela anche una mancanza di par condicio. Secondo alcuni calcoli la Abc, Cbs e Nbc hanno dedicato il doppio di tempo alle primarie repubblicane rispetto a quelle democratiche dal mese di gennaio fino ad aprile (425 minuti per Trump, 117 per Hillary Clinton). Inoltre i discorsi dell’ex first lady ai sindacati di Las Vegas  e di Detroit il mese scorso sono stati ignorati dalla televisione. Hanno scelto invece di mandare in onda il discorso di Trump in North Dakota e pochi giorni prima anche quello tenuto dal magnate di New York alla Nra (National Rifle Association).

Come in quasi tutto ciò che dice Trump, però, gli attacchi alla stampa sono anche controbilanciati da benevoli apprezzamenti  verso alcuni, specialmente quelli tendenti a destra. Per esempio, Trump ha lodato il lavoro del conduttore Sean Hannity della Fox News congratulandosi con lui per gli aumenti del suo share. In altre sedi Trump ha lodato i proprietari e amministratori delegati della Fox News, Cbs e Cnn.

Fino ad ora le televisioni hanno fatto molto poco per sfidare gli slogan e i cambiamenti di posizione di Trump, che in  molti casi sono contraddittori e spesso niente affatto veritieri. La Cnn però ha cominciato a classificare nei sottotitoli le affermazioni di Trump tra vere e false. Un accorgimento non molto efficace, ma già un tentativo  di mantenere una certa obiettività  giornalistica. Nonostante tutto, però, in America gli elettori di destra vedono la stampa in generale come liberal e qualunque attacco ai media è visto di buon occhio, specialmente dagli elettori poco accorti, che in linea generale formano la base di Trump.

La campagna di Trump, che gli ha permesso di conquistare la nomination repubblicana, è consistita in grande misura in una lunga serie di attacchi alle donne, ai messicani, ai musulmani nonché di volgari assalti  alla maggioranza dei suoi 16 avversari. Questi attacchi sono stati accettati perché hanno “funzionato” per il suo obiettivo.

Uno dei suoi ultimi attacchi al giudice Gonzalo Curiel, che secondo Trump non può giudicare il processo sulla Trump University perché lui è messicano (in realtà non lo è: è nato in America), ha forse fatto traboccare il vaso. La stampa ha riportato il caso facendogli notare che si tratta di puro e semplice razzismo. Parecchi luminari del Partito Repubblicano, come Mitch McConnell, presidente del Senato, e Paul Ryan, speaker della Camera, sono rimasti offesi  e lo hanno fatto notare. Il senatore della South Carolina Lindsey Graham, che aveva recentemente, e di malavoglia, offerto il suo endorsement, lo ha ritirato ed ha invitato altri a fare la stessa cosa.

La pubblicità offerta gratis  a Trump dalla  stampa può anche rivelarsi negativa per lui. Il conduttore televisivo Joe Scarborough del programma Morning Joe della Msnbc ha recentemente lanciato un feroce attacco a Trump dicendo che “le frasi razziste del presunto candidato repubblicano” stanno rovinando la reputazione del loro partito. Scarborough, parlamentare repubblicano dal 1995 al 2001, ha anche avvertito  che il continuo sostegno a Trump metterà a rischio il controllo repubblicano del Senato e della Camera e avrà inoltre un effetto notevolmente negativo in altre elezioni statali e locali. Scarborough ha concluso che  questo razzismo è “la cosa più anti-americana dai tempi di Joe McCarthy”.

 

*Domenico Maceri docente di lingue all’Allan Hancock College, Santa Maria, California  (dmaceri@gmail.com)  

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