OSSERVATORIO AMERICANO/ Sull’immigrazione Trump tentenna ma non fa marcia indietro

Domenico Maceridi DOMENICO MACERI* – “Non ha cambiato la sua posizione. Ha solo modificato le sue parole”. Ecco come Kathrina Pierson, una portavoce di Donald Trump, ha cercato di spiegare la confusione creata dal candidato repubblicano sul tema dell’immigrazione. Dopo il suo goffo tentativo di “sorridere” agli afro-americani Trump ha capito che sarà impossibile vincere le elezioni solo con il voto dei bianchi. I gruppi minoritari sono importanti e quindi, trovandosi indietro di almeno sei punti a livello nazionale e in serie difficoltà anche negli Stati in bilico, Trump ha sterzato “a sinistra”  sull’immigrazione strizzando l’occhio ai latinos, dando l’impressione di abbandonare le sue radici.
In quattordici mesi di campagna elettorale il magnate di New York si era piazzato all’estrema destra sull’immigrazione con una retorica che non lasciava ambiguità. Se Mitt Romney nel 2012 aveva sostenuto che gli undici milioni di clandestini dovrebbero essere “autodeportare” Trump era andato oltre, dicendo che avrebbe stabilito una “deportation force” per deportarli con la forza. Qualcosa di simile era successo nell’amministrazione di Dwight Eisenhower. E Trump lo voleva imitare. Inoltre, per impedire l’entrata di altri clandestini dal Messico Trump aveva detto che avrebbe costruito un muro lungo il confine al sud del Paese e che i costi sarebbero stati sostenuti dal governo messicano. Trump aveva anche annunciato il divieto di ingresso negli Stati Uniti a tutti i musulmani.
La sterzata “a sinistra” era stata suggerita da Trump in un’intervista alla Cnn ma era emersa in modo più concreto in un “town hall” della Fox News. Dialogando con gli spettatori, Trump ha chiesto in modo retorico se uno risiede negli Stati Uniti da più di venti anni e “la sua famiglia è buona, tutto va bene, bisogna buttarlo fuori?” Trump ha continuato spiegando che non si tratta di offrire cittadinanza ma che questi individui dovranno pagare le tasse arretrate e che bisogna cooperare con loro.
Questi commenti avevano scioccato alcuni dei più duri, inclusa la commentatrice Ann Coulter, fedele sostenitrice del magnate di New York, la quale ha recentemente scritto un libro dal titolo “In Trump we trust” (Crediamo in Trump). Anche il conduttore radiofonico di destra Rush Limbaugh ha espresso dubbi sul nuovo Trump in tema di immigrazione come pure Sarah Palin,  vice di John McCain nell’elezione presidenziale del 2008.
La confusione suscitata da Trump è stata però chiarita nel suo recente discorso di Phoenix sull’immigrazione in cui si è visto il candidato repubblicano ritornare alle sue radici facendo sorridere la sua base. Quel giorno era incominciato bene per Trump, il quale aveva accettato tempestivamente l’invito del presidente messicano Enrique Peña Nieto a visitare il Messico. Dopo un incontro durato un’ora i due hanno presentato una sintesi della loro discussione. Trump ha dato l’impressione di essere presidenziale leggendo i suoi commenti e lodando i messicani in America, pur reiterando il diritto di ogni Paese di proteggere i propri confini. Ha anche aggiunto la sua idea della costruzione del muro lungo il confine col Messico senza però indicare chi ne avrebbe sostenuto le spese. Si è saputo poco dopo mediante un tweet del presidente Peña Nieto che il Messico non pagherà nulla per l’eventuale muro.
Soltanto alcune ore dopo, nel suo discorso in Arizona, si è visto il solito Trump avendo lasciato il Trump diplomatico in Messico. Il candidato repubblicano, dopo avere lodato brevemente il presidente messicano, ha ripreso la sua retorica riecheggiando in tono e contenuto idee già espresse nella campagna per le primarie. A cominciare dalla visione quasi apocalittica della minaccia dell’immigrazione illegale che secondo lui bisogna combattere con tutte le forze. Nessun ammorbidimento, al quale Trump aveva accennato soprattutto per la metà delle famiglie degli undici milioni di clandestini composte in parte di individui con il diritto legale di essere negli Stati Uniti. Per Trump si tratta semplicemente di una questione di sicurezza vedendo solo i crimini dei clandestini senza però cogliere gli altri aspetti della complessa situazione.
La dura presentazione di Trump sull’immigrazione avrà fatto piacere ai suoi fedelissimi ma ha causato dissapori in parecchi leader conservatori ispanici i quali speravano su un nuovo Trump. Alfonso Aguilar, presidente del Latino Partnership for Conservative Principles, si è dimesso da un gruppo che consigliava Trump perché “deluso e ingannato” dalla retorica del discorso di Trump.
Hillary Clinton però sarà rimasta contenta perché potrà facilmente contare sulla stragrande maggioranza degli elettori latinos. Al momento gli ispanici la sostengono con un buon margine (il 66% contro il 22%). Queste cifre saranno utilissime a livello nazionale ma specialmente negli Stati come la Florida, il Colorado, l’Arizona, ecc., dove il voto latino potrebbe essere decisivo per aprirle le porte della Casa Bianca.

*Domenico Maceri docente di lingue all’Allan Hancock College, Santa Maria, California  (dmaceri@gmail.com)

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