OSSERVATORIO AMERICANO/ L’uscita di Bannon non significa fine della sua influenza su Trump

di DOMENICO MACERI*– “Ho votato per Trump perché ha promesso cambiamenti. Forse mi sono sbagliato”. Questa la reazione di un cronista di Breitbart News, adesso guidato da Steve Bannon, consigliere e stratega di Trump, licenziato dal 45esimo presidente solo pochi giorni fa. Anche Bannon aveva rilasciato dichiarazioni poco rassicuranti sulla presidenza di Trump prima di lasciare la Casa Bianca, quasi preannunciando la separazione ed il ritorno alla direzione di Breitbart News. In un’intervista alla rivista conservatrice The Weekly Standard Bannon aveva spiegato che esiste ancora “un movimento” ma che la “presidenza è finita” e che alla Casa Bianca vi saranno “tantissime battaglie interne”.
Bannon nei suoi  sette mesi da consigliere di Trump era stato al centro di queste battaglie, come hanno riportato il New York Times e il Washington Post. La vittoria di Trump nell’elezione dell’anno scorso, secondo Bannon, era dovuta in grande misura alle posizioni populiste e allo slogan “America First” (“L’America prima di tutto”) che lui stesso aveva sostenuto e che Trump aveva adottato. La linea dura contro gli immigrati, il bando a cittadini di parecchi Paesi musulmani, e l’abbandono dell’accordo di Parigi sul riscaldamento globale  erano idee auspicate da Bannon e che Trump aveva abbracciato.

Bannon è stato incapace di accettare compromessi scontrandosi con elementi dell’establishment e voci moderate nel circolo di Trump. Questi includono non solo  Jared Kushner e la moglie Ivanka Trump ma anche parecchi elementi dell’establishment ai vertici della cerchia del presidente. Bannon era stato coinvolto in un modo o nell’altro nei licenziamenti di parecchi pezzi grossi alla Casa Bianca ma con la nomina di John Kelly a chief of staff si credeva che il caos e la fuga di notizie sarebbero finite. La partenza di Bannon non è stata descritta ufficialmente come licenziamento ma una semplice separazione consensuale. Si crede però che gli attacchi di Bannon ai collaboratori di Trump, incluso il generale  H.R. McMaster, il consigliere della sicurezza nazionale, ed altri membri dell’establishment come Gary Cohn, direttore del consiglio di economia nazionale, avranno condotto alla separazione.
Bannon aveva le sue idee e vedeva coloro che dissentivano come traditori alle promesse fatte dal candidato Trump. Ovviamente insoddisfatto dall’influenza di forze contrarie alla sua ideologia, Bannon si è sentito rimpicciolito e costretto a ritornare alla Breitbart News, sito di notizie di ultra destra, dove avrà spazio per continuare la sua crociata. Infatti, ha già chiarito che continuerà a supportare Trump nella sua lotta per “asciugare il pantano” rappresentato dall’establishment di Washington. I primi bersagli saranno ovviamente i repubblicani “moderati”, finora incapaci di mettere in pratica l’agenda legislativa del 45esimo presidente.

Il recente discorso di Trump sulla situazione in Afghanistan, nonostante la sua vaghezza, non sarà però stato gradito da Bannon, il quale in politica estera auspica un isolamento degli Stati Uniti dal mondo. Bannon aveva persino incoraggiato il ritiro delle truppe americane dall’Afghanistan con affidamento del compito a soldati privati  facendo notare che  25.000 di loro già operano nel paese asiatico. Il 45esimo presidente ha spiegato nel suo discorso che i suoi primi istinti erano di farla finita con gli interventi militari ma alla fine ha ceduto alle pressioni dei generali che lo hanno consigliato.
Trump ha usato parole amichevoli per Bannon ringraziandolo pubblicamente per i suoi contributi alla campagna elettorale. L’inquilino della Casa Bianca ha anche detto che Bannon, usando la piattaforma di Breitbart News, potrà fare la concorrenza ai “fake media”.  Ciononostante i loro rapporti sono difficili da prevedere, dopo l’allontanamento. Si crede però che, nonostante la distanza fisica, Bannon potrebbe rimanere un’importante voce nelle azioni di Trump. È successo infatti con  Corey Lewandowski, ex manager della campagna di Trump, il quale continua a mantenere i suoi contatti con il presidente anche se non ha un ruolo formale nel governo.

D’altra parte però Bannon, fuori dalla Casa Bianca, avrà mano libera di agire contro i consiglieri attuali di Trump che cercano di indirizzare il governo verso una politica più centrista. In questo caso Breitbart News, sotto la guida di Bannon, dichiarerebbe guerra anche se il bersaglio principale non sarebbe necessariamente Trump bensì i suoi collaboratori, contro i quali  l’ex stratega scoccherebbe le sue frecce. Anche Trump potrebbe divenire bersaglio di Bannon in caso di uno spostamento verso il centro, come ci farebbe pensare la linea politica dei rimanenti consiglieri alla Casa Bianca.

Il caos nei vertici del governo di Trump probabilmente diminuirà con l’assenza di Bannon. Non finirà però completamente dato che il 45esimo presidente insiste nella sua volubilità. Il recentissimo comizio di Phoenix aveva tutte le caratteristiche della conferma della costante campagna politica condotta  anche dopo l’elezione. Il linguaggio battagliero con attacchi ai due senatori dell’Arizona, Jeff Flake e John McCain, ce lo confermano. I dissapori sempre più evidenti con  Mitch McConnell, presidente del Senato, ci fanno pensare che, con o senza Bannon, Trump era e rimane il problema principale non solo per se stesso ma per tutto il Paese e in secondo luogo anche per il resto del mondo.

*Domenico Maceri è docente di lingue all’Allan Hancock College, Santa Maria, California  (dmaceri@gmail.com)  

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