OSSERVATORIO AMERICANO/ La rivoluzione rimandata di Sanders

Domenico Maceridi DOMENICO MACERI* –

“Dovrebbe scegliere chiaramente il candidato più progressivo possibile. Un candidato legato a Wall Street sarebbe un grosso errore”. Con queste parole Bernie Sanders consigliava a Hillary Clinton la scelta del suo vicepresidente. Parole significative dell’avversario dell’ex first lady alle primarie perché reiterano l’importanza della sinistra ma allo steso tempo mandano un segnale che Sanders è vicino a concedere di non avere vinto le primarie e che non sarà lui il candidato democratico a novembre.
Dopo l’ultima primaria di Washington D.C. i due candidati alla nomination democratica si sono incontrati in privato per fare la pace e programmare la strategia per sconfiggere Donald Trump. Non molte informazioni dell’incontro sono venute a galla ma Sanders e Clinton, malgrado le loro differenze, sanno  che  l’ex first lady ha praticamente vinto la nomina del suo partito che le permetterebbe di ritornare alla Casa Bianca come presidente.
Non è facile per Sanders ammettere la sconfitta non solo dal punto di vista personale ma soprattutto per l’effetto che avrà sui dodici milioni di americani che lo hanno votato. La vittoria di 22 stati e il 45 percento degli elettori democratici alle primarie come pure i quasi due milioni di individui presenti ai suoi comizi richiedono un’uscita prudente dalla scena. Sanders non può rischiare di dare l’impressione ai suoi milioni di sostenitori che tutti gli sforzi fatti durante la lunga campagna siano stati vani.
Mantenere buoni contatti con i suoi sostenitori  aiuta Sanders a usare il loro entusiasmo e sostegno per negoziare con la Clinton e spingerla verso posizioni progressiste. Queste includono l’aumento del salario minimo a quindici dollari l’ora, l‘eliminazione dei legami con Wall Street che corrompono la politica, gli investimenti sulle infrastrutture, il diritto alla sanità per tutti, ecc.

Inoltre Sanders vuole fare leva sul sostegno  dei suoi fedelissimi per modificare la struttura del Partito Democratico eliminando i super delegates e permettere agli elettori indipendenti di votare nelle primarie democratiche. Infine il senatore del Vermont vuole che alla convention nel mese di luglio si stabilisca una piattaforma che includa i suoi principi. Che devono però essere accompagnati  da realpolitik. Richiedono che il Partito Democratico curi le sue ferite e si unisca alla lotta comune per sconfiggere Trump. Il candidato repubblicano ha cominciato a sfruttare le fratture delle primarie democratiche cercando di accaparrarsi una buona fetta degli elettori di Sanders approfittando del loro disgusto per Clinton, che la vedono come un candidato troppo vicino alla destra. I sondaggi recenti sottolineano questo pericolo. Solo il 59 per cento degli elettori di Sanders sarebbe disposto a votare per la Clinton a novembre. Il 22 per cento preferirebbe Trump e il 18 per cento voterebbe per il candidato liberista Gary Johnson.
Queste differenze rivelano in parte la delusione dei sostenitori di Sanders per la sconfitta anche se non è stata ancora annunciata come tale. Il senatore del Vermont ha però riconosciuto in un’intervista a Chris Cuomo della Cnn che non ha “i voti per vincere la nomination”.  Sa anche che ha del lavoro da fare per riportare la stragrande maggioranza dei suoi sostenitori nel campo democratico. La lasciato intuire che lo farà perché nelle sue parole d’ora in avanti la sua campagna si concentrerà sull’obiettivo di “sconfiggere Donald Trump”.
L’endorsement di Sanders alla Clinton avverrà dunque. Il timing potrebbe essere un annuncio alla convention di massimo impatto con un potenziale pubblico televisivo di 100 milioni di telespettatori. Nel frattempo il settantaquattrenne senatore del Vermont potrà preparare il terreno ai suoi sostenitori e indirizzare le loro energie nello sconfiggere il candidato repubblicano.
La campagna di Sanders è stata definita come un movimento che richiede una “rivoluzione politica”. Fino ad ora ciò è avvenuto in parte. Il merito di Sanders però è stato di generare entusiasmo per una svolta a sinistra che era cominciata con il movimento dell’uno percento e l’occupazione di Wall Street.

Sanders non avrà l’opportunità di mettere in pratica la sua rivoluzione. La Clinton lo farà solo in parte. Sanders però fa affidamento sui giovani, che tanto lo hanno sostenuto durante le primarie con la loro energia, per continuare il movimento candidandosi a cariche politiche locali, statali ed anche nazionali. Quasi cinquemila di questi entusiasti hanno già iniziato questo percorso che ha già dato frutti in alcuni Stati liberal come la California e New York per l’aumento del salario minimo. Tradurre queste tendenze di sinistra a livello nazionale sarà molto più difficile. Sanders però ha già tracciato il cammino.

*Domenico Maceri docente di lingue all’Allan Hancock College, Santa Maria, California  (dmaceri@gmail.com)

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