OSSERVATORIO AMERICANO/ La riforma fiscale repubblicana: benefici solo per i ricchi?

di DOMENICO MACERI* – “Non ricevo nessun beneficio”: il presidente Donald Trump  ha ripetuto questa frase  due volte, una dopo l’altra, come spesso fa per rendere le sue parole più rassicuranti. Il 45° presidente si riferiva alla proposta repubblicana sulla riforma fiscale sostenendo che  i ricchi come lui non riceveranno benefici perché il piano è indirizzato “ai lavoratori”.
Il problema è che i ricchi come lui riceverebbero la stragrande maggioranza dei benefici in almeno quattro modi. Verrebbero ridotte sia l’aliquota più alta dal 39.6 al 35 per cento sia le tasse  alle corporation dal 35 al 20 percento. L’Alternate Minimum Tax, la tassa minima applicabile anche ai ricchi che sfuggono al fisco mediante leggi labirintiche e l’Estate Tax (tassa sulla successione) verrebbero ambedue eliminate. Di tutte queste quattro modifiche beneficerebbero i ricchi come Trump.
Il Center on Budget and Policy Priorities, di tendenze progressiste, ci dice che l’1 per cento dei più ricchi riceverebbe la metà delle riduzioni fiscali della proposta, un framework, uno schema incluso in nove pagine. Ma anche il Tax Policy Center, una Think Tank indipendente di Washington D.C., lo conferma sostenendo che la proposta fiscale produrrebbe “un taglio enorme” alle tasse dei più ricchi. Ci informano anche che le casse del tesoro perderebbero fra 3 e 7,8 trilioni di dollari in dieci anni.
Nel primo anno di operazione però il contribuente medio risparmierebbe 1.570 dollari mentre quelli dell’uno per cento dei più ricchi risparmierebbero 130.000 dollari. Il 12 per cento dei contribuenti con reddito annuo da 150mila a 300mila dollari riceverebbero un aumento di tasse perché perderebbero detrazioni che la proposta repubblicana eliminerebbe. Le tasse aumenterebbero anche per il 30 per cento di contribuenti con reddito fra 50mila e 150mila dollari, anche qui per la perdita delle detrazioni attuali.
Una di queste detrazioni consiste dell’eliminazione del SALT, le tasse locali e statali pagate in grande maggioranza dagli Stati liberal come la California, New York, New Jersey, Illinois, ecc. Dopo solo pochi giorni sembra che la leadership repubblicana abbia però indietreggiato sul SALT specialmente per le obiezioni di parlamentari repubblicani di questi Stati liberal che in grande maggioranza tendono a sinistra e nelle elezioni del 2016 hanno preferito Hillary Clinton a Trump.

Le classi basse riceverebbero qualche beneficio dato che la detrazione standard verrebbe aumentata (da 6.350 a 12.000 dollari) ma eliminerebbe la detrazione personale (4.050 dollari). Inoltre la progressività delle aliquote sarebbe ridotta da 7 a 3, aumentando però la più bassa dal 10 al 12 percento. La riduzione del numero delle aliquote si avvicina al “flat tax” e colpisce le classi meno abbienti.

La riforma fiscale repubblicana non tocca la diseguaglianza economica che negli ultimi due decenni è aumentata in maniera stratosferica. Non include l’aumento del salario minimo che aiuterebbe i più poveri, soprattutto le madri single.

La riforma fiscale annunciata va considerata come un tentativo repubblicano di riprendersi dopo la batosta subita per  avere fallito la revoca della tanto odiata Obamacare, la riforma della sanità dell’ex presidente. Uno dei punti dolorosi per i repubblicani risiede nelle tasse che Barack Obama aveva aumentato ai benestanti per coprire in buona misura la sanità medica per i poveri. Con la conquista della Casa Bianca e il controllo delle due Camere i repubblicani non dovrebbero avere difficoltà a “ricompensare” i loro grossi contribuenti. Alcuni, come i fratelli Koch, hanno già minacciato che non spenderanno più soldi in campagne politiche se i legislatori repubblicani non mantengono le promesse.

Abbassare le tasse è una di queste promesse ma non sarà facile. Lo sanno ed è per questo che la loro proposta vertrebbe presentata con il meccanismo della “reconciliation” che focalizza il bilancio e non sarebbe soggetta al filibuster del Senato dove 41 dei 48 senatori democratici potrebbero facilmente bloccare un eventuale disegno di legge. Ma  la “reconciliation” che richiede solo una semplice maggioranza al Senato non funzionerà necessariamente. Tre senatori repubblicani potrebbero bloccare la proposta come si è visto con il tentativo di revocare Obamacare.

Fino a questo momento la retorica  proposta di ridurre le tasse, che  farebbe i miracoli per l’economia, sembra poco credibile. Infatti, l’economia ereditata da Trump continua ad andare bene con una disoccupazione di poco superiore al 4 per cento. L’importanza della riforma fiscale è dunque poco credibile e ci viene presentata dopo il tentativo della riforma della sanità che solo il 20 per cento degli americani approvava. Ciononostante, considerando la prevedibile compatta opposizione democratica, ci vorrebbero solo tre senatori repubblicani per silurare la riforma fiscale, esattamente com’è avvenuto con Obamacare.

Il piano sulle tasse “non è buono per me” ha ribadito Trump. Il problema è che noi non possiamo sapere esattamente perché il 45esimo presidente non ha reso nota la dichiarazione del suo reddito. Bisogna credere alle sue parole. Trump completa spesso le sue asserzioni con “Believe me” (Credetemi). Lo fa perché riconosce che ciò che dice è poco credibile? Il New York Times e il Washington Post confermerebbero questa scarsa credibilità dato che continuano ad aggiungere nuove informazioni alla lista di cose non veritiere asserite dall’inquilino della Casa Bianca.

*Domenico Maceri è docente di lingue all’Allan Hancock College, Santa Maria, California  (dmaceri@gmail.com)

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