OSSERVATORIO AMERICANO/ di D. Maceri/ Gli attacchi di Trump ai media

di DOMENICO MACERI* – “Non sono d’accordo”. Questo il grido di protesta di un sostenitore subito dopo le scuse di Greg Gianforte, il neoeletto parlamentare del Montana, per avere aggredito due giorni prima il cronista Ben Jacobs del “Guardian”. In effetti, il sostenitore di Gianforte applaudiva alla violenza verso i cronisti. Jacobs aveva fatto una domanda sulla posizione di Gianforte sulla proposta di riforma della sanità, ma il candidato repubblicano ha perso le staffe, afferrando il cronista per il collo e buttandolo a terra. L’accaduto è stato registrato da Jacobs ma anche verificato da alcuni cronisti della Fox News. Il presidente Donald Trump non ha commentato, ma in uno dei suoi tweet si è congratulato con Gianforte per l’importante vittoria repubblicana nel Montana.

Gli attacchi ai giornalisti (non solo a parole) sono stati incoraggiati da Trump durante la campagna presidenziale ma anche dopo l’elezione, confermando le inclinazioni  del 45° presidente degli Usa. Trump ha creato un clima anti-media durante la campagna elettorale, spesso additando alcuni cronisti nei suoi comizi, attaccandoli come gente “disonesta”. Alcuni dei suoi sostenitori hanno interpretato la sua retorica come incoraggiamento alle aggressioni dei cronisti. In un caso in particolare, Katy Tur della Msnbc è stata scortata alla sua macchina dal servizio segreto perché la tensione era divenuta pericolosa per l’incolumità della cronista.

Corey Lewandowski, uno dei manager della campagna elettorale di Trump, in una situazione aveva preso per il collo una cronista. Lewandowski  si dimise, ma sembra che adesso che incombono i problemi del Russiagate farà ritorno alla corte di Trump. Il quale ha spesso incoraggiato il clima di tensione promettendo persino di pagare le spese legali ad alcuni dei suoi sostenitori che avevano aggredito delle persone che protestavano ai suoi comizi. Trump non ha usato violenza fisica personalmente ma all’incontro del G7 ha dato un spintone al primo ministro del Montenegro che sembrava sbarrargli il primo posto davanti ai fotografi e le telecamere.

Gli attacchi di Trump ai media continuano a manifestarsi  attraverso i suoi notissimi tweet, ma anche direttamente in scontri con i giornalisti. In una circostanza ha descritto i media non come i suoi nemici ma “nemici del popolo”, una frase che si rifà a Stalin. In effetti, gli attacchi ai media mirano a demonizzare i dissensi contraddicendo il primo emendamento della costituzione americana che garantisce la libertà di parola e di stampa. Per Trump i media mentono. Lo ha ripetuto in un suo recentissimo tweet in cui dice che quando i giornalisti citano fonti anonime si tratta semplicemente di fake news.

Trump rimane spesso al livello superficiale e non sa o ignora per i suoi scopi la vera realtà. I giornali che usano informazioni classificate come anonime lo fanno per proteggere delle persone da possibili rappresaglie. In tutti i casi devono però spiegare ai loro direttori che sono in possesso di almeno due fonti prima che le informazioni vengano diffuse. Trump però ha una bella faccia tosta, dato che è proprio lui che dissemina fake news. Lo  fece parecchie volte una ventina di anni fa creando un personaggio chiamato John Miller e a volte John Barron che si spacciava telefonicamente per pubblicista di Trump. In realtà era lo stesso Trump che faceva la parte per mettersi in buona luce usando l’alias del pubblicista inesistente. In tempi più recenti Trump ha dichiarato che l’ex presidente Barack Obama lo aveva fatto spiare alla Trump Tower durante la campagna elettorale. Si tratta solo di un’accusa senza  fondamento che James Comey, allora direttore della Fbi, aveva smentito pubblicamente prima  di essere licenziato.
Gli insistenti attacchi di Trump ai media ci fanno pensare a una visione politica che richiama i regimi autoritari. Non a caso il 45°  presidente è grande ammiratore di Vladimir Putin ma anche di Rodrigo Duterte, presidente delle Filippine. Trump inoltre non parla mai dell’importanza della libertà di espressione, principio fondamentale della democrazia americana, garantito dal primo emendamento. Trump non capisce o non ci crede tanto.
La demonizzazione dei media in America è stata motivo di una lunga campagna della destra, accusando i giornalisti di favorire il Partito Democratico. L’eccezione ovviamente è Fox News che Trump spesso loda come modello, dato che continua a sostenere la retorica di destra e ovviamente anche l’attuale inquilino della Casa Bianca.
Trump però non si è inventato questa antipatia per i media: già esisteva da parecchio tempo, ma lui l’ha spinta agli estremi e, se potesse, li eliminerebbe addirittura. Si avrebbe dunque un sistema di informazione basato sui suoi tweet che lui, preferendo comunicare direttamente con i suoi fedeli sostenitori via twitter.
La storia ci dice che l’eliminazione della stampa libera conduce inevitabilmente alla fine della democrazia e all’eventuale dittatura. Lo ha confermato anche il senatore John McCain dell’Arizona e candidato presidenziale del Partito Repubblicano nel 2008. In un’intervista concessa a Chuck Todd della Nbc McCain ha espresso il suo disgusto per la stampa, ma ne ha anche ammesso“la necessità”, perché che la sua eliminazione consoliderebbe tutto il potere nelle mani del governo. Per McCain, Trump non sta cercando di “divenire” dittatore ma la storia ci indicherebbe il contrario.
*Domenico Maceri è docente di lingue all’Allan Hancock College, Santa Maria, California  (dmaceri@gmail.com)

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