ORA DI PUNTA/ Se quello è un premier… E se quello è un ministro…

FOTO - Il direttore Ennio Simeonedi ENNIO SIMEONE

Se quello è un premier…

Mancano 6 giorni al voto, ma il crescente accanimento con cui il capo del governo Matteo Renzi sta facendo campagna elettorale, senza più nemmeno preoccuparsi di travestirsi da segretario del Pd, ha oltrepassato i limiti della decenza istituzionale e persino dello scandalo politico-giudiziario. Salta da una telecamera all’altra, da una radio all’altra, da una piazza all’altra, con in più la garanzia che gli intervalli vengano coperti dal rilancio in differita di ciò che è stato trasmesso in diretta. E tutto ciò nella complice tolleranza degli organismi che dovrebbero garantire le più elementari regole della correttezza di una campagna elettorale e nell’assordante silenzio del capo dello Stato (ricordiamo, a coloro che se ne fossero dimenticati, che si chiama Sergio Mattarella).

C’è chi obietta che questa sfacciata e martellante apparizione sui teleschermi è diventata talmente ossessiva da essere ormai indigesta e addirittura controproducente al punto da provocare un rigetto: oltre al No per una riforma inquina la Costituzione, genera un No verso chi la vuole imporre con la più invasiva propaganda fatta di nauseanti slogan e di battute da avanspettacolo.  Tanto da far dire “ma se quello è un premier, meglio liberarsene insieme con la sua riforma, subissandolo di schede con il  No”.

Se quello è un ministro…

Ma non gli basta aver messo la sua faccia (dopo aver annunciato ai quattro venti di voler… rinunciare alla “personalizzazione”): Renzi induce anche altri a metterci la faccia, e, a loro volta, inducono a far mettere la faccia ad altri ancora, e così via. Una specie di Catena di sant’Antonio, che d’ora in poi potrebbe anche essere ribattezzata Catena di san Matteo. Il primo della classe, come si sa, è stato il presidente della Regione Campania, Vincenzo De Luca, che ha radunato due o trecento sindaci ordinando loro, a colpi di promesse e di parolacce, di ricorrere ai peggiori metodi clientelari per convincere i loro concittadini a votare Sì. Ipocritamente uno dei più seriosi opinionisti in circolazione, come Paolo Mieli, ha definito l’iniziativa  “folcloristica”. Se un magistrato volesse indagare potrebbe chiamarla più propriamente voto di scambio.  E invece l’esibizione, a giudizio di Renzi, va replicata su scala nazionale. E subito si è attivato Grazia Delrio, ministro delle Infrastrutture (quello che controlla i finanziamenti per le opere pubbliche), il quale, insieme con il sottosegretario Angelo Rughetti e il senatore Roberto Cociancich (esperto di trucchi parlamentari come la famosa “ghigliottina” per decapitare gli emendamenti in parlamento) ha scritto a tutti sindaci del Pd una lettera in si sostiene che «il Sì vuol dire puntare sulla crescita», mentre «con il No l’Italia tornerebbe dentro le sacche delle politiche di austerity e dovrebbe abbandonare gli spazi di flessibilità che il governo Renzi ha guadagnato sui tavoli negoziali europei». È una fesseria. Ma è quanto basta per indurli a partecipare alla manifestazione nazionale dal titolo bastaunSindaco.  L’articolo 9 della legge 28/2000 lo vieterebbe. Ma Delrio se ne frega.

Se quello è un ministro…

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