ORA DI PUNTA/ Il caso Zanetti e la lezione-boomerang di Giorgio Napolitano

FOTO - Il direttore Ennio Simeonedi ENNIO SIMEONE – Le due stragi che hanno monopolizzato l’attenzione e l’emozione dell’opinione pubblica – quella provocata dalla collisione tra i due treni in Puglia e quella attuata a Nizza dal terrorista franco-tunisino – hanno fatto scivolare nelle retrovie dell’informazione e delle miserie politiche italiane la notizia che il  viceministro dell’Economia del governo Renzi, Enrico Zanetti, assurto a tale carica nella veste di segretario di Scelta Civica (il partito creato, e subito abbandonato, da Mario Monti), è migrato con altri tre suoi amici parlamentari nel gruppo di ALA, creato da Denis Verdini.

Lo stesso capo del governo, prolifico produttore di tweet, è rimasto afono di fronte a tale notizia, non riuscendo a trovare il tempo e il modo di esprimersi – tra un messaggio di cordoglio ai pugliesi e una bellicosa  intemerata al califfato – su questa scelta, in verità poco civica, del vice di Padoan, il cui gesto ha automaticamente realizzato il passaggio di Verdini nella maggioranza di governo per “interposta persona”.

Ha taciuto e tace sull’argomento anche il primo e principale partner del “rottamatore”, il senatore a vita Giorgio Napolitano, che ancora domenica scorsa ha impartito dalle colonne del “Sole 24ore” una lezione sulle cause dell’antipolitica e del populismo. L’ormai molto ex presidente della Repubblica ha ribadito che “il punto cruciale della visione populista della democrazia è il disprezzo e la negazione del ruolo delle Assemblee rappresentative e di ogni forma di governo parlamentare, a vantaggio di una democrazia plebiscitaria o di una democrazia diretta”.

E invece silenzio sul caso Zanetti e sulle sue conseguenze.  Peccato! Avrebbe avuto una buona opportunità per spiegare quanto il trasformismo, sommo atto di disprezzo verso le assemblee elettive, produca disgusto per la politica e alimenti il populismo. Ma questo lo avrebbe portato dritto a sconfessare quella garanzia di governabilità che viene addotta (da lui stesso oltre che da Renzi) come motivo per il sì nel referendum sulla riforma costituzionale e  per subire la connessa legge elettorale Italicum che assegna uno spropositato premio di maggioranza parlamentare al partito che prende anche un solo voto in più dell’altro al ballottaggio.

“La sera stessa delle elezioni – è lo slogan a sostegno di quell’accoppiata legislativa – sapremo chi ha vinto e chi ci governerà”. Già, ma chi ci dice chi governerà il giorno dopo? Quanti parlamentari, eletti in un partito,  rimarranno a lungo seduti negli stessi banchi? In questa legislatura sono oltre 160 quelli che hanno deciso di migrare da uno schieramento all’altro. L’ultimo, Enrico Zanetti, ha addirittura fatto migrare il governo da un campo all’altro. All’insaputa di chi lo presiede.

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