ORA DI PUNTA/ Gli agnolotti del giornalismo d’assalto

FOTO - Il direttore Ennio Simeonedi ENNIO SIMEONE – Sui siti web imperversa ancora il video mandato in onda domenica scorsa – come se si trattasse di un pregiato pezzo di giornalismo – da Massimo Giletti, tenutario dell’Arena, programma del dopo pranzo festivo ad uso soprattutto del relax digestivo per casalinghe  e pensionati. E’ un video in cui una simpatica cronista, nell’improbabile personaggio di componente dello staff culinario della Casa Bianca, esibendo un vassoio di agnolotti, rivolge a Massimo D’Alema, in uscita dal portone di casa con al guinzaglio il suo labrador nero, la seguente strampalata domanda:  «Alla cena offerta da Obama gli ospiti italiani hanno assaggiato gli agnolotti alla patata; il tema si è fatto referendario. Lei come ha trovato gli agnolotti della Casa Bianca? Erano salati, sì o no?»

La poverina, convinta (chissà da chi) che la trovata fosse divertente e provocatoria, alle rimostranze di D’Alema, che chiedeva di essere lasciato in pace, non si è data per vinta e ha insistito al punto che l’uomo politico, irritabile e quindi irritato, ha dato una manata sotto il vassoio facendo volare gli agnolotti a terra, per la gioia dei molti piccioni svolazzanti in zona e degli originali autori dell’Arena. Poi, placatosi, ha spiegato pacatamente alla sua “intervistatrice” che quello che stava facendo non era giornalismo, perché il giornalismo è un’altra cosa.

D’Alema avrebbe potuto (e forse dovuto) comportarsi subito diversamente; tant’è che, come ha riferito Giletti, si è poi scusato telefonicamente per la reazione che ha avuto ai danni del vassoio di agnolotti.

Però, diciamoci la verità, davvero non se ne può più di questi programmi televisivi, senza distinzioni di canali, costruiti tutti sullo stesso copione: un gruppetto di “pensatori” che in studio discettano più o meno animatamente, spesso accapigliandosi senza che si capisca un bel nulla di ciò che dicono, in ciò incoraggiati dall’accondiscendenza del conduttore o della conduttrice, che, appena vedono placarsi le acque, riattizzano il clima estraendo l’arma di riserva: le “interviste di strada”, affidate a volenterosi ragazzotti o ragazzotte, cronisti di primo pelo o aspiranti tali, che, impugnando un microfono provocatoriamente proteso davanti alla bocca di un politico appena sceso da un’auto per imboccare un portone – o viceversa – lo inseguono e gli chiedono di rispondere con una battuta a una domanda che per avere una risposta esauriente avrebbe bisogno di almeno un quarto d’ora di pacata conversazione.

I poveri ragazzotti più invettive e sdegnosi rifiuti raccattano e più sono convinti di aver fatto giornalismo d’assalto. E invece hanno fatto a mala pena giornalismo d’accatto. Per la gioia dei loro mandanti. I quali andrebbero deferiti all’Ordine dei giornalisti e perseguti in base alle nuove norme in vigore per condannare il caporalato. I dirigenti dei canali che programmano questi talk show licenziati o trasferiti al servizio pulizia negli uffici di “Report”.

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