Aveva fatto di tutto per salvare l’azienda di famiglia che produceva scarpe per bambini ed adolescenti di marchi prestigiosi. Per far fronte alla mancanza di liquidità, per la crisi del 2010, aveva pure prelevato dal patrimonio personale 9 milioni di euro, somma che aveva scelto, però, di usare non per saldare i debiti con il fisco, ma per un piano di rilancio imprenditoriale nella speranza di non chiudere e in un secondo momento di regolare i conti con l’erario. Per un ex docente universitario, che per una malattia del figlio si è trovato a guidare l’impresa con sede operativa nelle Marche e che è finito imputato per omesso versamento dell’Iva per 5 anni, è diventata definitiva l’assoluzione. Il Tribunale di Milano, andando oltre l’orientamento giurisprudenziale relativo alle assoluzioni per crisi di liquidità, ha accolto la tesi della difesa: è stato riconosciuto, non tanto che non ci fosse capitale, ma lo sforzo di usarlo per garantire una continuità di impresa ed evitare il crac, poi dichiarato nel 2016.
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