Mondiale di calcio femminile: USA, che tris! Perchè in Italia questa disciplina non decolla?

ciccarellidi Raffaele Ciccarelli*

Il calcio femminile è un calcio che non riesce ad affermarsi ormai solo nel nostro Paese, mentre in tutto il resto del mondo ha la dignità di una seguitissima disciplina sportiva. Problemi di retaggio culturale e di un pregiudizio duro ad estirparsi alle nostre latitudini, dove è considerato ancora “diverso” e per questo quasi ghettizzato, come qualsiasi cosa aliena con cui ci troviamo a confrontarci. Una anomalia tutta italiana, smentita dal grande seguito che abbiamo potuto vedere ai Campionati del Mondo che si sono svolti in Canada. La lunga maratona delle partite ha visto confrontarsi atlete delle varie scuole calcistiche, fino a produrre la finale tra Usa e Giappone, un lungo duello che ha caratterizzato l’ultimo quadriennio, essendo l’esatta replica della finale di quattro anni fa (vinta dal Giappone) e dell’ultima finale olimpica (vinta dagli Usa).

 

Calcio femminile da occidente a oriente. Dal nome delle finaliste si può ben comprendere come siano diverse le gerarchie del calcio femminile rispetto a quello maschile, ma questo è proprio un primo errore da non fare, quello di guardare al calcio in rosa pensandolo simile a quello degli uomini: indubbiamente ci sono delle diversità, ma sono appunto solo quelle, restando nell’essenza del gioco uguale a quello dei maschi, nella tecnica come nella tattica, con le ovvie differenze che intercorrono tra uomo e donna nella loro anatomia e fisiologia. Questa gerarchia di valori comprende, oltre alle due finaliste, i paesi nordici, con la Svezia spesso sul podio e la Norvegia una volta vincitrice (1995), la solita Germania che ha vinto due edizioni (2003 e 2007), e la Cina (una volta seconda e una volta quarta), a dimostrazione che in Asia, continente dove abbondano i pregiudizi nei confronti delle donne, pure si dimostrano più avanti di noi in questa disciplina.

 

Il Mondiale femminile. Questa edizione del torneo ha proposto molte sorprese, la principale l’eliminazione del favorito Brasile della fuoriclasse Marta, eliminato addirittura negli ottavi dall’Australia, trascinando anche in ambito femminile la crisi che pare attraversare tutto il calcio carioca. La finale ha visto di fronte, quindi, le due acerrime rivali di questi anni, ma la finale di Vancouver, di fronte a quasi cinquantacinquemila tifosi festanti, non ha avuto storia: dopo sedici minuti di gioco le statunitensi erano addirittura avanti di quattro reti, grazie ad un gol di Lauren Holiday e a una tripletta di Carli Lloyd, con il fantastico terzo gol realizzato con un lungo pallonetto dalla linea di centrocampo. Le asiatiche sembravano annichilite, ma appena il ritmo delle americane è calato, hanno iniziato a giocare dimostrando di non essere capitate lì per caso, arrivando ad accorciare fino al quattro a due con le reti di Yuki Ogimi e l’autogol di Julie Johnston, prima del definitivo quinto punto di Tobin Heath, che poteva dare il via alla festa a stelle e strisce. Gli Stati Uniti sono perciò Campioni del Mondo per la terza volta, prima nazionale nella storia, staccando la Germania, che detta legge anche nel calcio femminile, sconfitta nella finale per il terzo posto dall’Inghilterra. Proprio questo bronzo delle inglesi fa riflettere: in casa dei tradizionalisti Maestri, il calcio in rosa si sta affermando, a quando pure in Italia?

*Storico dello sport

 

 

 

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