MATTEO COSENZA/ E così la Calabria è finita sotto un ponte

matteo-cosenzaFBdi MATTEO COSENZA/

Difficile stabilire cosa sia stato e sia peggio, se il crollo di un pilone con conseguente morte di un operaio o se il balletto di irresponsabili responsabilità che ne è seguito, fatto sta che a circa quattro mesi del tragico e, si fa per dire, incredibile cedimento la famigerata A3, l’autostrada Salerno-Reggio, i cui lavori di ampliamento (un terza carreggiata da Salerno a Padula e una corsia di emergenza da Padula a Reggio) durano da una vita e non sono ancora terminati,  è diventata all’altezza di Laino un tappo che ha tagliato la Calabria dall’Italia. Ed è difficile capirlo anche perché le due cose si tengono.

Stabiliranno i magistrati perché quel pilone è finito giù, di sicuro era stato realizzato male o per progettazione sbagliata o per materiali scadenti, ma in ambedue i casi resta certa la responsabilità di chi – il concessionario dell’opera, cioè l’Anas, cioè lo Stato – avrebbe dovuto controllare la prima e i secondi. Poi, successo quello che è successo, la ricerca delle responsabilità e delle soluzioni è diventata un ginepraio nel quale l’impotenza degli uni è stata ed è pari a quella degli altri. I magistrati indagano con i loro tempi, l’Anas progetta l’intervento tecnico con i suoi tempi, il Governo aspetta i tempi degli altri e ci aggiunge i suoi. Risultato: al momento non una pietra è stata rimossa, non un centimetro cubo di cemento (cemento e non terriccio!) è stato gettato.

Le fotografie sono due. Una è quella dell’Italia che, al di là delle modernità strombazzate ai quattro venti, è un Paese non solo inadeguato a gestire sommovimenti epocali come la migrazione ma che si blocca anche davanti a un pilone. Ed è stucchevole, per quanto non nuova, la sua incapacità di darsi una scossa in ragione della strategica importanza del rifacimento di quel pilone perché preda di una pubblica amministrazione lenta e inefficiente e di un sistema di poteri che, quando si deve mungere, viene aggirato con mille artifici, e che, quando si deve fare il proprio dovere, viene applicato con il massimo rigore.

L’altra è la foto della Calabria, che nitidamente viene impressionata nei suoi noti ed essenziali caratteri. Per dirla brutalmente: della Calabria, riferendoci allo Stato e all’opinione pubblica, non frega nulla a nessuno. E qui si scopre l’acqua calda. Ma della Calabria se ne fregano anche i calabresi. I quali, ciclicamente, si affidano ora a questo ora a quello, in generale cercando di fiutare con relativo anticipo l’aria che tira in modo da posizionarsi sulla scia del vincente di turno. La delega è conseguente e totale, salvo qualche intervento di questo o quell’intellettuale che lascia il tempo che trova, salvo qualche conato di protesta che scema prima di nascere. Se ritardano il pagamento di uno stipendio all’esercito di forestali si bloccano strade e ferrovie; per quello che è accaduto a quel pilone e per quanto ne è seguito – per le conseguenze devastanti (in queste condizioni di isolamento inizia la stagione estiva, quello dell’invocata palingenesi annuale che dovrebbe venire dal turismo) – si doveva mettere sottosopra la Regione, far sentire alta e forte la voce dei calabresi, andare a Roma sotto i palazzi che contano, non lasciar trascorrere un minuto senza agire. E invece? Calma, c’è tempo, aspettiamo che chi ci sta accanto faccia qualcosa prima che lo faccia io. Qualcuno poi si meraviglia se la ‘ndrangheta ha le mani in pasto dappertutto e che abbia fatto affari nei lavori della Salerno-Reggio come manco la droga permette? E volete che qualcuno controllasse quanto cemento veniva usato? E vi sorprendete che nulla accada se non c’è una tragedia o un bravo magistrato che fa il suo dovere? Poi, quando il re è finalmente nudo, il cerino acceso passa di mano in mano e per avviare (solo iniziare) lavori necessari e urgenti per tutti, quattro mesi non  bastano.

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