LE PAROLE DEL 2016

ORA di puntadi ENNIO SIMEONE –

C’è un augurio per il nuovo anno che vorremmo si avverasse e che non ha prezzo (nel senso che avrebbe un enorme valore senza alcun costo): l’augurio che si desse ad alcune parole molto usate ed abusate nel linguaggio comune della politica il senso che meritano, liberandole dall’ambiguità, anzi dall’ambivalenza.

Limitiamoci a qualche esempio (tralasciando l’insopportabile “piuttosto che”, il cui significato è “invece che” ma viene adoperato scorrettamente al posto del corretto “oppure”), e prendiamo la parola riforma.

Come è noto, significa cambiamento. Ma dire “abbiamo fatto le riforme” (come fa chi sta al potere) oppure “bisogna fare le riforme” (come fa chi sta all’opposizione) oppure “andare avanti sulla via delle riforme” (come fa vacuamente persino l’attuale presidente della Repubblica) non significa un bel nulla. La storia ci insegna che – contrariamente a quanto va blaterando con la sua logorroica enfasi propagandistica l’attuale capo del governo e del partito di maggioranza  – in Italia di riforme ne sono state fatte a iosa in tutte le legislature e in tutti i campi (da quelle della scuola a quelle elettorali, da quelle sulle pensioni a quelle sul lavoro e così via elencando ) e sono state fatte sia per iniziativa parlamentare sia per iniziativa dei governi. Sono state talvolta buone riforme e talvolta cattive riforme, e a volte buone per alcuni e cattive per altri e viceversa. Perché? Perché hanno privilegiato spesso interessi contrastanti, a vantaggio di alcuni e a svantaggio di altri. E sono state definite “di sinistra” se ad essere difesi sono stati gli interessi delle categorie più deboli o meno abbienti e di “di destra” se ad avvantaggiarsene erano solo o prevalentemente le categorie più forti o benestanti. Ma soprattuto riforme “giuste” se rispettose del principio di “equità sociale”, democratiche se rispettose del voto di tutti i cittadini, antidemocratiche e autoritarie se finalizzate ad imporre il potere di una minoranza nel parlamento.

Come si vede, abbiamo involontariamente snocciolato altre parole (sinistra, destra, forti, deboli, equità sociale, democrazia, autoritarismo) di uso corrente nel quotidiano linguaggio della politica: parole che hanno bisogno di essere sostanziate di contenuti e che, proprio a seconda dei contenuti, assumono il loro corretto significato. Quindi anche termini come destra e sinistra – proprio come riforma – non hanno alcun significato se li si associa soltanto a un simbolo, a una bandiera, a una persona o ad una circostanza. Come può essere, ad esempio, una campagna elettorale.

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