Le inquietanti manipolazioni di una testimonianza sull’inchiesta Consip. La magistrata smentisce le frasi attribuitele

Nuovo colpo di scena nella vicenda Consip. La magistrata Lucia Musti, procuratore della Repubblica di Modena,  smentisce le parole che le sono state attribuite sul conto di due ufficiali dei carabinieri che le avevano riferito particolari sull’inchiesta per la parte che poteva riguardare la città emiliana: “Rilevo che mi vengono attribuite alcune affermazioni, anche virgolettate, che io non ho fatto, ovvero che, per come riportate, non rendono in modo fedele quanto da me riferito al Csm in audizione non pubblica, conseguente a convocazione”. Lo ha precisato all’Ansa dopo la fuga di notizie riferita da alcuni giornali, cui sono seguite incaute dichiarazioni anche di esponenti di governo. “Sono a disposizione del Procuratore della Repubblica di Roma”, aggiunge la dottoressa Musti (foto).

La sua dichiarazione segue di poche ore quella del colonnello dei carabinieri Sergio De Caprio, il Capitano Ultimo, il quale  – tramite il suo legale, Francesco Romito – dice “basta alle gravissime accuse infondate” mosse nei suoi confronti nella vicenda Consip e si dice pronto a “un pubblico confronto” per “esercitare i diritti di difesa e di informazione al cittadino”. L’obiettivo è quello di dissipare ogni dubbio rispetto a “paventate minacce alle Istituzioni ed altre azioni eversive” cui hanno fatto riferimento “diversi parlamentari”, il “ministro della Difesa e infine il premier”. “Vista l’escalation mediatica delle vicende legate all’indagine Consip ed alle gravissime accuse infondate rivolte al Capitano Ultimo ed ai suoi carabinieri, riteniamo doveroso – afferma il legale, per conto di De Caprio – renderci disponibili ad un pubblico confronto al fine di chiarire dubbi e sospetti.

Per capire che cosa ha provocato la reazione sdegnata del più famoso carabiniere italiano, noto soprattutto per la cattura di Totò Riina, ma autore di altre operazioni ad altissimo rischio contro la malavita organizzata, riteniamo utile riprodurre per i lettori, a titolo di documentazione, la puntuale e meticolosa ricostruzione pubblicata dal “Fatto quotidiano” in due articoli per l’edizione di oggi, domenica 17 settembre, del direttore Marco Travaglio e del giornalista Marco Lillo, autore degli scoop sulla vicenda Consip, che smontano il propagandato scoop diffuso, “a giornali unificati”, da Corriere della sera, Repubblica e Messaggero sulla deposizione del Procuratore di Modena Lucia Musti davanti alla commissione del Csm sulle confidenze che dice di aver ricevuto da Capitano Ultimo e dal maggiore Scafarto quando un’inchiesta della magistratura di Napoli, parallela a quella sulla Consip, sfiorò operatori emiliani. (Nella foto in alto: il procuratore Ielo, il maggiore Scafarto, Tiziano Renzi, il procuratore capo Pignatone, il pm Woodcock).

L’EDITORIALE DI TRAVAGLIO: “Prendono i buchi e gridano al golpe”

 «Quando Craxi gridava al golpe contro i partiti che rubavano, gli tiravano le monetine. Quando Berlusconi gridava al golpe contro se stesso e le sue aziende che corrompevano, frodavano il fisco e taroccavano i bilanci, gli ridevano in faccia. Ora che Salvini grida al golpe contro la Lega, lo prendono tutti a pernacchie. Invece, se Renzi, Franceschini, Orfini, Zanda, Pinotti e altri noti statisti gridano al golpe giudiziario dei carabinieri e del pm Woodcock contro lo stesso Renzi  (mai indagato) per i traffici del babbo Tiziano, del galoppino Carlo Russo e del Giglio Magico alla Consip, tutti li prendono sul serio. A cominciare da Repubblica, il quotidiano che più di ogni altro (insieme al nostro) ha sempre smontato le accuse di eversione a chi osava indagare su Craxi, Berlusconi e Lega. Si era sempre detto, anche quando emergevano errori in questa o quell’indagine: contano solo i fatti, lasciamo che i magistrati giudichino e poi, se qualche inquirente ha sbagliato, ne risponderà, ma senza assolvere chi quei fatti ha commesso. Ora che c’è di mezzo Renzi e il Pd parla la lingua di Craxi, Berlusconi e Salvini, quella regola aurea non vale più: se qualche inquirente del caso Consip ha sbagliato dolosamente (ed è ancora tutto da dimostrare), i fatti e le prove evaporano, gli accusati diventano accusatori e viceversa. Anche se gli eventuali errori non spostano di un millimetro il quadro accusatorio di Consip.

Il Procuratore di Modena, Lucia Musti, denuncia a scoppio ritardato due ufficiali del Noe al Csm (che non ha alcun diritto di indagare né di fare domande sui carabinieri), in un verbale segreto subito pubblicato dai censori delle fughe di notizie altrui (come la nuova indagine su Woodcock). Il primo è Sergio De Caprio, che nel 2015 le portò per competenza il fascicolo sulla coop Cpl Concordia e le avrebbe detto: “È una bomba, se vuole può farla esplodere”. Renzi e Consip non c’entravano nulla: la coop rossa era legata ad ambienti dalemiani antirenziani. Il secondo è Giampaolo Scafarto che, incontrandola un anno fa per le indagini su Cpl, le avrebbe confidato di lavorare a un grosso caso: “Succederà un casino, arriviamo a Renzi”. Avendo appena raccolto pizzini e intercettazioni sull’intenzione di Romeo di stipendiare Tiziano Renzi e Russo  e di sborsare 2 milioni per salvare l’Unità renziana, che doveva pensare Scafarto? Che stava arrivando a D’Alema? A Berlusconi? A Corona? Ovvio che pensasse a Renzi.

Sbagliò a parlarne alla pm? Certo. Era un reato? Pare di no, altrimenti la pm ne avrebbe commesso un altro, omettendo di indagarlo. Se dici “arriviamo a Renzi” significa che stai fabbricando prove false per incastrarlo? No, significa che tutti gli indizi raccolti portano a lui e al suo entourage familiare e politico.
Questi sono i fatti. Dove sta allora il golpe di cui cianciano i vertici Pd? E le “manovre e veleni” su cui titola Repubblica, in perfetta simbiosi col Giornale di Sallusti (“Renzi sa chi sono i mandanti del complotto”)? Per dimostrare l’inesistente congiura bisogna falsificare i fatti, truccare le carte, manipolare i verbali, taroccare le date, proprio mentre si accusano Scafarto, Ultimo, Woodcock e il Fatto delle stesse condotte. È quel che fa, più di tutti, Repubblica.

1) “Manipolazione delle carte giudiziarie… affinché fosse affondato l’allora primo ministro… L’idea che sia possibile disarcionare un primo ministro o chiudere una carriera politica attraverso la manipolazione di intercettazioni e un uso sapiente delle rivelazioni ai giornali è sconvolgente”. Bugia: i falsi contestati a Scafarto, tutt’altro che decisivi ai fini delle indagini, risalgono a fine dicembre 2016-marzo 2017, quando Renzi non era più premier (si era dimesso il 5 dicembre). E le “rivelazioni ai giornali” su Consip, cioè lo scoop di Marco Lillo, è del 21-22 dicembre. Comprendiamo l’amarezza di Repubblica per aver preso un “buco” dal nostro giornale, ma questo si chiama scoop, non golpe. Altrimenti anche lo scoop del Corriere, che il 22 novembre 94 annunciò l’invito a comparire a B. per corruzione durante un vertice internazionale a Napoli sarebbe stato un complotto per disarcionare un premier (quello sì in carica). E chi lo firmò – i bravissimi Goffredo Buccini e Gianluca Di Feo – dovrebbe autodenunciarsi. Di Feo, tra l’altro, ora è vicedirettore di Repubblica.

2) “Resta la necessità di liberare le istituzioni da pezzi di apparati che, come troppe volte nella storia d’Italia, agiscono in modo deviato ed eversivo”, ma purtroppo “i vertici dell’Arma e la Difesa si sono espressi solo venerdì”. Gli apparati deviati nella storia d’Italia agivano per conto del potere, mentre qui il Noe indagava (con tutti i suoi errori) sul potere ed è stato vittima di soffiate per salvare il potere. E chi dovrebbe liberarci degli apparati deviati? I comandanti Del Sette e Saltalamacchia, indagati per favoreggiamento e rivelazione di segreti agli indagati Consip?

3) Il primo atto della “fallita spallata a Renzi” – sempre secondo Repubblica – è quando Woodcock assegna indebitamente il caso Consip al Noe, che dovrebbe occuparsi di “tutela ambientale e non di reati dei colletti bianchi”. Bugia: quando parte, l’indagine riguarda il gruppo Romeo per rapporti con la camorra nello smaltimento rifiuti al Cardarelli: materia di competenza del Noe. Poi si scopre che Romeo traffica con Russo, emissario di Tiziano, per vincere appalti alla Consip.

4) Il secondo atto è il “metodo a strascico… con intercettazioni telefoniche e ambientali”. È il metodo – perfettamente legittimo – usato anche dalla Boccassini per scoperchiare l’affaire “toghe sporche” su vari giudici romani, avvocati Fininvest (Previti in testa) e B. Che tuonava contro le intercettazioni “a strascico”. Come ora Repubblica.

5) “Di ‘bombe’ pronte a esplodere, parla del resto Scafarto al pm Musti anticipando fuori da ogni regola, nel settembre del 2016, quello che di lì a poco accadrà nell’indagine Consip”. Bugia: secondo la Musti, è De Caprio a parlarle di “bomba”, e non nel 2016 a proposito di Renzi, ma nel 2015 a proposito di Cpl.

6) Terzo atto: “La trasmissione degli atti a un’altra Procura… rende impossibile l’identificazione di chi quelle carte veicola. Sempre allo stesso quotidiano: il Fatto. Accade a Modena. Accade a Roma”. Bugia: lo scoop del Fatto sull’intercettazione Renzi-Adinolfi nell’inchiesta Cpl non c’entra nulla con Modena. La telefonata fu segretata da Woodcock, ma depositata da altri pm napoletani a disposizione degli avvocati. Bastava leggersi le carte, cine ha fatto il nostro corrispondente Vincenzo Iurillo  e non altri. Ma anche questo si chiama scoop, non golpe.

7) Poteva mancare la giustizia a orologeria? Ieri era in bocca a B., ora è su Repubblica: “Dicembre 2016, un mese politicamente decisivo per il Paese. Il mese del referendum costituzionale. Sono ancora una volta Woodcock e il Noe a decidere i tempi. Il 20 dicembre… Marroni, dopo ore di interrogatorio, ha accusato di rivelazione di segreto il comandante Del Sette… Perché la ‘bomba’ scoppi, il mattino successivo il Fatto avvisa della tempesta che sta per succedere”.

Tre bugie in poche righe.

A) Il referendum è il 4 dicembre, le dimissioni di Renzi il 5, la confessione di Marroni il 20: se gl’inquirenti volessero affondare Renzi, farebbero esplodere la bomba 20 giorni prima.

B) I tempi non li decidono Woodcock né il Noe, ma il Giglio Magico, che a metà dicembre avverte Marroni delle cimici in Consip e lui il 20 le fa rimuovere; il Noe irrompe subito dopo per interrogarlo e lui fa i nomi delle talpe. Senza quella soffiata (che rovinò l’indagine di Woodcock & Noe), il 20 dicembre non sarebbe accaduto nulla: le intercettazioni sarebbero proseguite, gli indagati avrebbero continuato a trafficare, le mazzette promesse sarebbero state pagate e incassate, e chi oggi grida al golpe a piede libero sarebbe in galera.

C) Il 21 dicembre il Fatto racconta l’irruzione di una decina di uomini del Noe nella sede della Consip, un palazzo romano con centinaia di dipendenti: un segreto di Pulcinella che anche altri, sforzandosi un po’, potevano scoprire. Ma anche questo è uno scoop, non un golpe.

Allora, cari amici di Repubblica, chi è che manipola e falsifica? Fate così: scusatevi con Berlusconi. E poi versategli i diritti d’autore».

LA RICOSTRUZIONE DI MARCO LILLO. Ed ecco ciò che scrive Marco Lillo.

«Per smontare il teorema del ‘complotto’ contro Matteo Renzi costruito dal Noe dei Carabinieri con la complicità del pm Henry John Woodcock e del Fatto è molto utile una semplice cronologia.

Quando il capitano Gianpaolo Scafarto, ai primi di settembre del 2016, avrebbe fatto alla pm di Modena Lucia Musti la confidenza generica su un’indagine non meglio precisata (“Scoppierà un casino, arriviamo a Renzi”) erano già accaduti alcuni fatti. In particolare un signore toscano amico di Tiziano Renzi di nome Carlo Russo era già entrato più volte nell’ufficio di Alfredo Romeo per parlare degli appalti che interessavano all’imprenditore. Non solo in Consip ma anche in Grandi Stazioni e in Inps. Stando alle informative di Gianpaolo Scafarto di quel periodo erano già accaduti questi eventi: il 3 agosto Romeo aveva chiesto a Russo di incontrare il padre del premier di allora perché aveva problemi con il suo amico amministratore di Consip, Luigi Marroni, per una serie di appalti del valore di centinaia di milioni di euro. Russo aveva proposto allora di fare una bisteccata a casa di Tiziano Renzi con lo stesso Marroni. Il 31 agosto Romeo era tornato alla carica e Russo aveva riferito così la risposta di Tiziano: “gli ho detto che … dobbiamo fare sto passaggio con Marroni! M’ha detto dice: ‘Fammi finire sto casino prossima settimana ci mettiamo’”.

Quando Scafarto avrebbe fatto la sua profezia, Romeo aveva già proposto a Russo il famoso ‘accordo quadro’ che poi sarà precisato meglio il 14 settembre nel famoso foglio che – secondo l’interpretazione dei Carabinieri – reca l’offerta di 30 mila euro al mese per Tiziano Renzi in cambio di un incontro al mese con Luca Lotti e con Luigi Marroni per propriziare un occhio di riguardo su Romeo da parte della Consip guidata da Marroni.

La confidenza di Scafarto (‘scoppierà un casino arriviamo a Renzi’) quindi non è la prova del movente delle sue macchinazioni contro Tiziano e Matteo ma un annuncio abbastanza prevedibile (e certamente scorretto se vero) sulla base di indizi già raccolti.

Prima però ricordiamo come è nata la teoria che piace tanto ai grandi giornali, alla politica e ai membri del Consiglio Superiore della Magistratura vicini a Renzi.

Il teorema (ben descritto ieri in un pezzo di Carlo Bonini su Repubblica) vuole connettere due fatti che non c’entrano nulla: lo scoop del Fatto del luglio 2015 sulla telefonata di Matteo Renzi con il generale Michele Adinolfi e lo scoop del Fatto del 2016-2017 sul caso Consip. Ebbene il teorema è delineato nel libro del segretario del Pd Avanti.

Renzi ricorda così il nostro scoop della telefonata tra lui e il generale della GdF Adinolfi, nella quale i due sparlavano di Enrico Letta, intercettata nel 2014 e pubblicata dal Fatto il 10 luglio 2015. “È la prima volta – scrive Renzi – in cui faccio la conoscenza del Noe, Nucleo operativo ecologico dell’Arma dei carabinieri, che su incarico di un pm di Napoli, il dottor Woodcock, mi intercetta. Apprenderò dell’intercettazione mentre sono presidente del Consiglio, grazie a uno scoop del Fatto Quotidiano firmato da un giornalista che si chiama Marco Lillo. Segnatevi mentalmente questo passaggio: Procura di Napoli, un certo procuratore, il Noe dei carabinieri, il Fatto Quotidiano, un certo giornalista. Siamo nel 2014, non nel 2017, sia chiaro. Che poi i protagonisti siano gli stessi anche tre anni dopo è ovviamente una coincidenza, sono cose che capitano”.

L’insinuazione che Il Fatto abbia ottenuto le notizie per i due scoop nel 2015 e nel 2016-7 sempre grazie al Noe e al pm Woodcock è falsa e diffamatoria ma trova subito una grancassa nelle istituzioni.

Il libro esce il 12 luglio e sembra il canovaccio delle domande poste al pm Lucia Musti di Modena appena cinque giorni dopo dal presidente della prima commissione del Csm. L’avvocato Giuseppe Fanfani, ex sindaco Pd di Arezzo, amico di Maria Elena Boschi e già legale del padre, ascolta con i suoi colleghi del Csm il procuratore di Modena nell’ambito del procedimento contro Henry John Woodcock finalizzato a capire se il pm di Napoli che ha osato intercettare il padre del leader Pd debba essere trasferito per incompatibilità.

La pm Lucia Musti ha ricevuto per competenza nell’aprile del 2015 le carte del fascicolo Cpl Concordia, istruito da Woodcock, nel quale era contenuta l’intercettazione di Matteo Renzi con il generale Adinolfi. La telefonata è divenuta pubblica nel luglio 2017 perché non era più segreta e Il Fatto – come la Procura di Napoli ha ricostruito già nel 2016 – l’ha avuta da fonti non investigative in modo pienamente lecito. E non era più segreta per una svista non del pm Woodcock ma degli uffici dei pm dell’antimafia che l’avevano ricevuta per competenza di materia da Woodcock proprio come la dottoressa Musti l’aveva avuta a Modena.

I pm di Napoli nel 2015-2016 indagarano i carabinieri del Noe che avevano aiutato il personale di segreteria, oberato di lavoro, a effettuare la scansione delle pagine senza avvedersi che l’informativa depositata non era quella omissata ma la versione precedente, che non conteneva gli omissis. Così quelle due pagine così delicate con i giudizi sprezzanti di Renzi su Letta sono finite nel computer della Procura accessibile a tutti gli avvocati del procedimento. Tre avvocati (almeno) ne vennero in possesso e così Il Fatto ha potuto acquisire tutte le carte pubbliche del fascicolo, compresa quella che doveva restare segreta. Questo tragitto è stato accertato con certezza dai pm e dai loro periti informatici grazie anche alle perquisizioni ai danni dei giornalisti del Fatto e in particolare al sequestro e all’analisi del computer del collega Vincenzo Iurillo che ha firmato quello scoop con chi scrive questo articolo.

I carabinieri del Noe furono indagati e interrogati ma i pm Alfonso D’Avino e Giuseppe Borrelli ne chiesero l’archiviazione a febbraio 2016 perché “E’ da escludersi che la scansione integrale della informativa del 15.10.2014 sia stata intenzionalmente effettuata dai militari al fine di renderla ostensibile attraverso il suo inserimento al TIAP (il sistema informatico della Procura, Ndr)”; 2) “la pubblicazione degli atti era avvenuta ad opera del cancelliere (incolpecole anche lui, Ndr) addetto alla segreteria del pm dell’antimafia Cesare Sirignano”.

L’audizione della dottoressa Musti al Csm doveva essere diretta ad appurare le responsabilità dei magistrati in quella fuga di notizie. Woodcock in questo caso non aveva alcuna responsabilità ma il pm Musti ne approfitta per fare due dichiarazioni contro la polizia giudiziaria preferita dal pm napoletano: i carabinieri del Noe.

La prima riguarda il fascicolo Cpl Concordia del 2015 e l’allora vicecomandante del Noe dei Carabinieri Sergio De Caprio, alias Ultimo.

Questa è la ‘la seconda versione’ del verbale pubblicata dal quotidiano Repubblica (diversa da quella del giorno precedente) riguardo all’incontro Ultimo-Musti per le carte dell’indagine Cpl Concordia del 2015: “Il presidente Fanfani chiede: «Chi glielo disse?». Musti: «Il colonnello De Caprio mi disse: “Lei ha una bomba in mano, se vuole la può fare esplodere”». Fanfani: «Ma in riferimento a cosa?». Lei: «Ma cosa ne so? Cioè, io non lo so perché erano degli agitati. Io dovevo lavorare su Cpl Concordia, punto, su quest’episodio di corruzione. Dissi ai miei, “prima ci liberiamo di questo fascicolo meglio è”».

Musti quindi sta dicendo al Csm che Ultimo quando consegnò il fascicolo Cpl Concordia a Modena disse che era una bomba. Il fascicolo non era centrato su Renzi ma sulla coop emiliana e conteneva intercettazioni del 2014 riguardanti: 1) i rapporti tra Massimo D’alema e la Cpl Concordia; 2) la Fondazione Icsa fondata da Marco Minniti ma lasciata dall’ex sottosegretario nel 2013; 3) intercettazioni su altri personaggi del Pd tra cui anche Matteo Renzi ma non solo lui.

Dal testo del secondo (e probabilmente vero) verbale pubblicato da Repubblica ieri si evince chiaramente che il pm Lucia Musti non dice e nemmeno insinua mai che ‘la bomba’ a cui faceva riferimento Ultimo fosse l’intercettazione di Renzi con Adinolfi.

La seconda cosa che dice il pm Lucia Musti al Csm riguarda il fascicolo che nel 2016 vedeva il solito Noe, sempre sotto la direzione del pm Woodcock, impegnato sul versante Consip. Così sempre Repubblica (sempre nella seconda versione del verbale ieri) riferisce la versione del pm Lucia Musti su un suo incontro con il capitano Scafarto ai primi di settembre del 2016: «Lui mi ha parlato del caso Consip, un modo di fare secondo me poco serio, perché un capitano, un maresciallo, un generale sono vincolati al segreto col loro pm, non devi dire a me che cosa stai facendo con un altro. Quindi, quando lui faceva lo sbruffone dicendo che sarebbe “scoppiato un casino”, io dentro di me ho detto “per l’amor di Dio”. Una persona seria non viene a dire certe cose, quell’ufficiale non è una persona seria». Fanfani vuole dettagli: «De Caprio ha detto “Ha una bomba in mano”, mentre Scafarto “succederà un casino”?». Musti risponde: «Scoppierà un casino, arriviamo a Renzi».

E’ evidente dalla lettura di questa versione del verbale l’inesattezza di quanto pubblicato il giorno prima. Lucia Musti non ha mai dichiarato che Ultimo e Scafarto le dissero: ‘Dottoressa, lei, se vuole, ha una bomba in mano. Lei può far esplodere la bomba. Scoppierà un casino. Arriviamo a Renzi’.

Una cosa è la bomba Cpl Concordia di cui parla Ultimo senza alcun riferimento a Renzi e alla sua conversazione con Adinolfi poi pubblicata dal Fatto.

Altra cosa è quel generico “scoppierà un casino arriviamo a Renzi” che sarebbe stato detto nel settembre 2016 dal capitano Scafarto quando aveva già in mano indizi pesanti su Tiziano Renzi.

La scorretta rappresentazione della realtà fatta dai grandi quotidiani insinua che la bomba di cui parlava Ultimo a Lucia Musti nel 2015 fosse l’intercettazione Adinolfi-Renzi. Non basta. la grande stampa e il Pd al seguito forzano anche il senso della frase di Scafarto per insinuare un intento complottistico del Noe contro Renzi nel 2016.

Scrive sul punto Il Corriere della Sera di venerdì “Il fatto che l’ex capitano del Noe abbia detto a Musti, quattro mesi prima di consegnare l’informativa e anche prima che fosse registrata la famosa frase «Renzi l’ultima volta che l’ho incontrato» falsamente attribuita a Romeo («assume straordinario valore e consente di inchiodare alle sue responsabilità il Renzi Tiziano», scrisse Scafarto nel rapporto), potrebbe far immaginare che l’obiettivo dei carabinieri fosse proprio il padre dell’ex premier. Come se fosse un possibile movente della successiva manipolazione dell’intercettazione. E chi volesse ipotizzare che quello fosse lo scopo dei falsi contestati a Scafarto (…) ora avrebbe un motivo in più per sostenerlo”.

La rappresentazione di un colloquio in cui Scafarto parla con Musti prima di avere nelle mani gli indizi e le registrazioni che inguaieranno Tiziano Renzi ha permesso al Pd Michele Anzaldi di presentare un’interrogazione al Governo e ha fatto parlare di ‘fatti di gravità inaudita’ all’ex segretario Pd Dario Franceschini e di “complotto” al capogruppo Pd Luigi Zanda. Grazie a questo modo di fare informazione non è apparsa ridicola la visita di Matteo Renzi a Rignano così raccontata in un pezzo dal titolo “Consip, Renzi subito a Rignano dal padre. Con lui il faccia a faccia della pace”.

Il pezzo è uscito il 14 settembre, proprio nel primo anniversario del giorno del famoso pizzino. Il 14 settembre 2016 infatti Alfredo Romeo scrisse su un foglietto ritrovato il giorno dopo nella spazzatura dal Noe e interpretato come un’offerta nero su bianco al ‘compare di Tiziano Renzi, Carlo Russo, di 30 mila euro al mese, destinati a ‘T.’ che secondo la tesi accusatoria sarebbe Tiziano Renzi.

Al di là delle conseguenze politiche della strumentalizzazione delle frasi della pm Musti, c’è una conseguenza giudiziaria di non poco conto. Alla Procura di Roma sono state trasmesse dal Csm le dichiarazioni della pm di Modena perché i pm Paolo Ielo e Mario Palazzi valutino se inserirle nel fascicolo contro Woodcock. Non solo. Lunedì prossimo la solita prima commissione del Csm presieduta dal solito Giuseppe Fanfani convocherà i due pm di Napoli, Giuseppe Borrelli e Alfonso D’avino, che si sono occupati del’indagine sulla pubblicazione da parte del Fatto dell’intercettazione Renzi-Adinolfi.

In pratica il presidente della commissione del Csm convoca i procuratori aggiunti di Napoli e trasmette carte alla Procura di Roma perché finalmente si indaghi a fondo nella direzione del collegamento tra i due scoop del Fatto, proprio la direzione auspicata dal leader Matteo Renzi nel suo libro».

Ci auguriamo che i nostri lettori si siano fatti un’idea chiara di come stanno le cose e, soprattutto, che se la siano fatta quei politici, a tutti i livelli –  a partire dal presidente del Consiglio Gentiloni e dalla ministra della Diufesa Pinotti – che stanno rilasciando dichiarazioni sulla base di quanto riportato dai tre giornali sulla deposizione che la magistrata Lucia Musti ha rilasciato a fine luglio al Csm, ma stranamente diffusa un mese e mezzo più tardi (come se fosse stata conservata  in modo da poterla rilanciare non nel torpore dell’estate ma più in prossimità di scadenze elettorali).

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