L’ALTRO DEGLI ALTRI/Colpe, disinformazioni e sbocchi della tragedia siriana spiegati da Assad

Stefano Feltri, vice direttore del Fatto quotidiano ha avuto, con un gruppo di altri giornalisti, l’opportunità di accompagnare una delegazione di europarlamentari che, a titolo personale, cercano di riattivare un’azione diplomatica europea sullo scenario siriano. Tra i promotori dell’iniziativa ci sono anche due europarlamentari italiani, Fabio Massimo Castaldo del Movimento 5 Stelle e Stefano Maullu di Forza Italia. La delegazione ha avuto un incontro con il 52enne presidente siriano Assad, di cui Feltri ha fatto un resoconto di grande interesse, che si potrà leggere integralmente sul Fatto quotidiano. Riteniamo utile per i nostri lettori riportare alcuni dei passi significativi di quell’incontro, dal quale emergono elementi che al pubblico occidentale sono sconosciuti o arrivano distorti.

«La Siria – racconta Feltri – è così piena di ritratti di Bashar Al Assad che sembra già di conoscerlo. Eppure l’uomo ha poco in comune con il leader dallo sguardo indomito dell’iconografia di regime». La voce sottile tradisce la perentorità delle sue tesi:

«la crisi dei rifugiati è colpa dell’Europa, la strage di quasi mezzo milione di siriani è responsabilità dell’Occidente e delle monarchie petrolifere sue alleate, foraggiatrici dell’Isis e di al Qaeda (che in Siria ha avuto a lungo il nome di Al Nusra). E l’unico perno di stabilità è proprio ciò che Europa e Stati Uniti più contestano: l’asse tra Assad, l’Iran e la Russia di Vladimir Putin».

Alla domanda “che cosa pensa delle parole del premier israeliano Netanyahu sul ruolo dell’Iran, la cui presenza in Siria bloccherebbe ogni processo di pace?” Assad risponde che il problema è aggravato dalle ingerenze esterne. E spiega: «Attentati terroristici come quello di sabato a Damasco (oltre 40 morti, ndr) avvengono ogni giorno, talvolta ogni ora. Finché ci saranno terroristi ovunque in Siria, ogni cittadino siriano sarà in pericolo. Chi supporta questi terroristi? È questo che vorrei chiedere ai leader europei che fin dall’inizio della crisi in Siria hanno fatto le scelte sbagliate. Scelte che hanno causato distruzione in Siria e l’affermarsi del terrorismo nella regione. E gli attacchi terroristici in molte città europee, oltre alla crisi dei rifugiati. Il solo ruolo dell’Europa e dell’Occidente guidato dagli americani è stato sostenere i terroristi. Parlano di ‘processo politico’, ma al momento non c’è alcun impegno concreto. Completamente diverso il ruolo dell’Iran: sostiene la Siria nel combattere i terroristi e dal punto di vista politico, nella regione e a livello internazionale. Israele invece appoggia direttamente i terroristi, con la logistica o con raid diretti contro il nostro esercito nelle aree confinanti».

E come funziona il rapporto tra Russia e Siria? 

Assad dice che bisogna stare ai fatti. «Da quando i russi hanno cominciato i loro raid contro l’Isis, coordinandosi con l’esercito siriano – ovviamente dopo che noi abbiamo chiesto loro di sostenerci – l’Isis ha iniziato ad arretrare. Prima c’era solo quella che viene definita l’Alleanza americana o occidentale, un’alleanza di facciata. E l’Isis si stava espandendo. Si è iniziato a contestare il ruolo dei russi solo dopo che hanno iniziato ad avere successo sul terreno. Ma la Russia, con l’esercito siriano, ha avuto successo nel combattere i terroristi, e la riconquista di Aleppo e Palmira ne sono la dimostrazione concreta. Sono fatti, non opinioni. Quanto al rapporto politico con il governo, fin dall’inizio della guerra sei anni fa – prima di mandare le truppe in Siria – ogni passaggio politico e poi militare è stato deciso discutendone con il governo siriano. La relazione dei russi con la Siria si fonda su due pilastri: prima di tutto la sovranità della Siria, che è parte della carta delle Nazioni Unite. E il secondo elemento è morale: non c’è alcuna colonizzazione, ma solo una relazione che dura da sei decenni. Tra Siria e Russia è sempre stata la stessa, anche se in circostanze differenti».

E come risponde alle accuse dell’Onu, che considera lui  responsabile dei  400mila morti nei conflitti tra regime e oppositori? E che gli chiede di lasciare il potere per favorire la pace?

«Prima di tutto – risponde –  è il popolo siriano a dover scegliere il proprio presidente e a chiedergli conto di ogni conflitto o problema, non certo le Nazioni Unite, che non hanno alcun ruolo. E tutti sappiamo che dopo la caduta dell’Unione sovietica, nell’Onu non c’è equilibrio politico. Alcuni Paesi nel Consiglio di sicurezza, quelli con il seggio permanente come Francia, Gran Bretagna e Usa, hanno provato a usare l’Onu per ribaltare governi che non obbedivano o non rispettavano le loro priorità. Io ascolto solo il popolo siriano, non mi interessa cosa dice l’Onu o qualche esponente straniero. Quanto ai morti e ai rifugiati, in gran parte  sono responsabilità degli europei. Non direttamente, ma attraverso il sostegno ai terroristi, fin dall’inizio e anche ora che continuano a definirli ‘moderati’. Sanno che è un’illusione, non ci sono milizie ‘moderate’ in Siria. Tutte sono estremiste: che tu sia moderato o meno, nel momento in cui hai in mano armi da fuoco e un arsenale, uccidi persone e distruggi proprietà, diventi un terrorista. Nel mio Paese, nel vostro, ovunque. Nessuno può dire che qui ci sono ‘assassini moderati’ o ‘terroristi moderati’. Veniamo ai rifugiati, soprattutto quelli che vanno verso l’Europa: non tutte le persone sono fuggite per colpa dei terroristi o delle distruzioni. Molti se ne sono andati per l’embargo dell’Occidente e dell’Europa, che è complementare alla devastazione e ai massacri a opera dei terroristi nello spingere la gente a fuggire, anche in Europa».

Ma Assad si rimprovera qualcosa per come ha gestito la crisi? O per qualcosa che ha fatto o non ha fatto?

«Per il governo siriano e per ogni pubblico ufficiale il dovere è difendere il proprio Paese – risponde. Se non lo facessimo, allora sì che avremmo qualcosa di cui sentirci in colpa. Ma come si può rimproverarsi per aver difeso il proprio Paese? La nostra opinione è che si debba dialogare con ogni siriano, inclusi quelli nelle milizie. Abbiamo deciso di discutere perfino con i terroristi per evitare che si sparga altro sangue siriano. Certo, ogni scelta politica può comportare degli errori nella sua attuazione. Ma questi non li rimpiangi, li correggi. La domanda però andrebbe fatta anche ai leader dell’Occidente: provano rimorso per aver sostenuto i terroristi in Siria, chiamandoli moderati, e definendoli all’inizio ‘dimostranti pacifici’, quando invece venivano uccise persone, e limitandosi ad accusare il governo siriano mentre sapevano che i loro combattenti per procura stavano uccidendo il nostro popolo? Hanno rimorsi per quello che è successo in Siria sei anni dopo? Loro dovrebbero averne, non noi».

Tutto il mondo si chiede che Paese sarà la Siria dopo la crisi…Che cosa risponde Assad?

«La guerra – dice – è una lezione molto dura per ogni società. Ogni Paese, dopo un conflitto, dovrebbe essere migliore. Quando ti trovi con la guerra che arriva dall’esterno, con i siriani usati come combattenti per procura, non basta accusare l’Occidente o gli Stati dei petroldollari che sostengono i terroristi. Dobbiamo guardarci negli occhi e chiederci ‘cosa c’è che non va nel mio Paese?’. Non sto parlando come presidente, ma come cittadino siriano. Se vuole parlare di come sarà la Siria dopo la guerra, il punto non è la mia agenda. La mia agenda si limita a facilitare il dialogo tra i siriani, perché questa è una discussione nazionale su quale sistema politico si vuole: presidenziale, semi-presidenziale, parlamentare e così via. Quando si affronta il tema del sistema politico, allora si può parlare di istituzioni – l’esercito, i ministeri, il governo e tutto il resto – che devono essere il riflesso della Costituzione. Questo richiede un dialogo ad ampio spettro nella società siriana perché, alla fine del percorso, ci sarà un referendum. Il governo non può stabilire che ‘questo è bene e questo è male per il destino del Paese’. Quindi io non voglio esprimere la mia visione del futuro della Siria, ma direi piuttosto qual è la visione siriana del futuro del nostro Paese. Ci vuole dialogo, ma la priorità dei siriani adesso è combattere il terrorismo. È un lusso parlare adesso di politica quando potresti essere ucciso nei prossimi minuti. Quindi, la priorità è avviare la riconciliazione in varie aree. Quando avremo raggiunto questi due obiettivi, potremo parlare di tutto il resto».

Ma Assad getta uno sguardo sul futuro del suo paese anche con una spiegazione etico-religiosa. Cioè: bisogna stare alla logica uccidi o sarai ucciso?

«Non dipende dalla politica – chiarisce –  ma dalla cultura e non da quella delle origini. Da alcuni decenni si è diffuso questo approccio per colpa della ideologia wahabita (il tipo di Islam reazionario promosso dall’Arabia saudita) che non ne tollera altre. Non riguarda soltanto le persone religiose, questa atmosfera di rifiuto dell’altro può contagiare chiunque nella società. Ed è stato un fattore importante nel determinare l’attuale situazione in Siria. Se non si affronta questa questione e ogni parte della società non impara ad accettare le altre, si arriva alla guerra civile. Ora c’è uno scontro tra questa mentalità, propria soprattutto dei gruppi islamisti wahabiti, e il resto della società. Ma alla fine della guerra la mappa politica potrebbe essere diversa. Non è una questione culturale, è temporanea, locale. E ha colpito noi così come le società europee: i risultati li vedete nei vostri Paesi, soprattutto in Francia, dove in molti si sono sentiti isolati e i predicatori wahabiti hanno avuto la possibilità di plagiare le loro menti. Ora ne pagate il prezzo. Molti dei più spietati leader di al Qaeda in Siria, dell’Isis o di Al Nusra, arrivano dall’Europa, non dai Paesi arabi. Noi abbiamo moltissimi combattenti provenienti dal mondo arabo. Ma i loro leader arrivano soprattutto dall’Europa».

Commenta per primo

Lascia un commento