La semplificazione non viaggia sui binari dell’alta velocità

di SERGIO SIMEONE – I populismi non sono tutti uguali. Quello dei 5 stelle si caratterizza soprattutto per la teoria che potremmo definire della “semplicità”. Trovare la soluzione di qualsiasi problema  è semplice e alla portata di tutti. Se non la si adotta è perché intervengono fattori perturbanti (la corruzione, gli interessi delle multinazionali, eccetera). Corollario di questa teoria è che tutti possono fare i deputati o i senatori. Le uniche qualità che devono avere gli aspiranti a queste cariche sono l ‘onestà  per resistere agli assalti della corruzione e la capacità di farsi portavoce della gente, che comunica i suoi desiderata on line.

E’ una rappresentazione caricaturale delle teorie del movimento? Non mi pare perché è perfettamente in linea con le ultime esternazioni del fondatore Beppe Grillo espresse anche durante una intervista ad una tv americana, nella quale ha pronosticato che tra breve senatori e deputati potranno non essere più eletti, ma scelti mediante sorteggio tenendo conto soltanto della necessità di garantire una rappresentanza proporzionale a tutte le componenti della società.

E’ in base a questa teoria che il ministro delle infrastrutture, Toninelli, ha stabilito che si può dare l’alt alla prosecuzione dei lavori per la realizzazione  del Treno ad Alta Velocità (Tav)  Lione-Torino. Ha infatti pensato che, poiché in un sondaggio la base pentastellata si era pronunciata contro la realizzazione della TAV, e periodicamente (come l’altro giorno) si svolgo cortei No-Tav in Val di Susa, a lui, portavoce di questa base nel governo, non rimanga altro da fare che proporre il blocco della  TAV. Solo che, dopo aver preso questa decisione i 5 stelle si sono accorti che  la questione era più complessa di quanto  pensassero, perché sulla Tav convergono esigenze ed interessi non propriamente convergenti: l’ecologia, certo, ma anche l’esigenza di salvaguardare il lavoro di migliaia di operai, gli interessi  del sistema produttivo del nord, il rischio di dover restituire i fondi già erogati dall’Europa, nonché quello di dover pagare pesanti  penali alle imprese già impegnate nell’opera con regolari contratti, la necessità di non dare alla UE e in particolare alla Francia l’immagine dell’Italia come Paese inaffidabile. E’ stato a questo punto che Toninelli è stato colto da mutismo, Di Maio ha cominciato a menare il can per l’aia e il presidente del Consiglio Giuseppe Conte si è accorto che la pratica non era ancora arrivata sulla sua scrivania.

Di Maio è abbastanza smaliziato e penso che riuscirà a trovare una soluzione in accordo con il suo alleato-competitor Salvini. Ma farebbe bene a spiegare ai suoi compagni di movimento una cosa che penso lui abbia già capito: governare non è tradurre in provvedimenti sic et simpliciter i desiderata della gente, ma riuscire a trovare soluzioni che rappresentino   il giusto equilibrio tra esigenze ed interessi contrastanti, studiando, consultando persone competenti e confrontandosi con soggetti  istituzionali  ed associazioni interessate.

Commenta per primo

Lascia un commento