La precarietà del Pd, creata dal renzismo, rallenta l’affrancamento dell’Italia dalla sfiducia verso la politica

di NUCCIO FAVA* – Il fenomeno Macron prosegue come un treno, ma non rispettosamente verso l’Italia e la stessa caratterizzazione europeista della sua campagna elettorale. Tra Francia e Italia sono grandi le differenze non solo istituzionali, frutto di una lunga storia che ha da ultimo saputo superare l’infamia dei nazisti sotto l’Arco di Trionfo e l’orribile complicità nella campagna contro gli ebrei.

L’Italia è invece alle prese con il fallimento del renzismo, la sconfitta pesante in un referendum costituzionale mal concepito sin dall’inizio e ancor peggio rappresentato in una interminabile campagna elettorale. Da ultimo il voto amministrativo è stato una batosta ulteriore per il Pd, che con il suo segretario ha cercato di banalizzare, puntando in modo improvvido ad una immediata rivincita. Il presidente Gentiloni, figlio diretto del segretario, cerca ora di galleggiare in mezzo ai marosi ridotto a “governo amico o balneare” come si usava ai tempi della cosiddetta Prima Repubblica, per rimarcare la necessità di una fase di intervallo, di non conflittualità, di una qualche forma di stabilità possibile. In arrivo del resto il “generale agosto” e, come da sempre, i cronisti politico-parlamentari chiamano la sosta per le ferie di senatori e deputati, con il dono dei ventagli ai presidenti delle due assemblee.

Il centrodestra ha in corso la ricomposizione dei suoi vari pezzi sotto la regia di Berlusconi, che non cessa di usare tutte le sue abilità per arruolare “pentiti” come il dimissionario del ministro Costa.  Alfano ha rotto ogni ponte con l’ex premier, e, dalla Farnesina, cerca di costruire una qualche formazione centrista autonoma, da giocare dopo il voto.

I Cinquestelle sono concentati al massimo sulle regionali in Sicilia, da dove immaginano di prendere lo slancio per l’assalto definitivo a Palazzo Chigi.

Il problema cruciale resta la condizione precaria del Pd. E il perseverare quasi testardo nell’accumulo di errori. Ultimo quello su modalità e tempi per l’approvazione dello Ius soli che ha costretto Gentiloni a porre una pezza estrema per rinviare tutto all’autunno.

Il presidente del Consiglio ha così rilanciato, in termini mai prima così netti, la necessità di assicurare stabilità, indispensabile per non disperdere i tenui segnali di ripresa, e potere interloquire in modo meno precario con l’Europa su migranti e legge di stabilità. In questo quadro ogni spirito di rivincita e personalismi esasperati andrebbero evitati in ogni modo. Tutti dovrebbero comprendere che il paese ha bisogno non di scontri e duelli all’arma bianca, pur comprensibili dopo le troppe presunzioni, irrisioni irragionevoli, rifiuti e incapacità di dialogo.

Per il bene dell’Italia, la maggior sfida riguarda la costruzione finalmente di una vera sinistra di governo, quel campo largo del nuovo centro sinistra in cui purtroppo Renzi non ha mai creduto. Illudendosi che il suo avvento sulla scena nazionale bastasse come la scalata di Palazzo Vecchio o la conquista della Rai. Non è come inventare nuovamente una simpatica Leopolda per dare le risposte che urgono. Ci pare però che le responsabilità più grandi – a questo punto – ricadano su Bersani e Pisapia. Urgono risposte per i giovani, per le famiglie, per le imprese, per l’emergenza sempre più angosciante delle nuove povertà e delle migrazioni dei giovani italiani più preparati verso altri paesi, provenienti soprattutto dal sud, con un sud alle prese con antiche e nuove arretratezze. Dove persistono le piaghe incistate della mafia e della corruzione, fin dentro la politica, le amministrazioni, i concorsi e gli appalti. Un intrigo di interessi illegali inverecondi che certo il povero Cantone non può risolvere con la bacchetta magica, tanto più se la politica sembra diffidente e timorosa verso l’azione della magistratura.

Siamo giunti insomma al punto in cui è l’Italia tutta che ha bisogno di una rigenerazione ideale e civile, come è emerso dalle sue viscere profonde e ci è richiesto nel ricordo di Falcone e Borsellino. Il loro sacrificio è un grido terribile che ci ricorda il dovere di verità e giustizia, una moralità della politica che non deve mai essere smarrita.

*Nuccio Fava è stato direttore del Tg1 e del Tg3 e direttore delle Tribune politiche Rai 

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