Ironia e sberleffi dall’Ue per le proposte di Renzi, da cui anche i ministri italiani prendono le distanze

Folclore all’assemblea nazionale dei circoli Pd al teatro Linear Ciak di Milano, 1 luglio 2017.
(Foto Ansa di Matteo Bazzi)

di ENNIO SIMEONE – Nelle frenetica ricerca di argomenti da dare in pasto ai compiacenti telegiornali, giornali e talk show per una interminabile campagna elettorale, con cui ci tormenterà fino alla primavera, Matteo Renzi ha riaperto il fronte anti-Ue per tentare di copiare slogan e strappare consensi alla Lega di Salvini e al Movimento cinquestelle. Ieri si è inventata la proposta di riportare il deficit italiano al 3% per…ricavare soldi da destinare a sgravi fiscali e contemporaneamente ha minacciato l’Unione europea di non pagare le quote per vendicarsi del mancato appoggio nell’accoglienza dei migranti.

E ha collezionato figuracce e sberleffi da Bruxelles, ma anche da Roma. La più cocente è arrivata da Juncker: il presidente della Commissione europea gli ha fatto rispondere dal suo portavoce che non si discute di queste cose con chi non ha responsabilità di governo. Il commissario per gli affari economici, Moscovici (il più disponibile verso le richieste italiane) ha detto che verso l’Italia finora c’è stata la maggiore tolleranza quanto al sforamenti del deficit; adesso, anche nel suo interesse, è bene che l’Italia badi al contenimento se non vuole rischiare la bancarotta. Perentoria la bocciatura dal presidente dell’Eurogruppo, Jeroen Dijsselbloem: “Stare al 2,9% del deficit per cinque anni sarebbe fuori dalle regole di bilancio, non è una decisione che un Paese può prendere da solo, in questa unione monetaria ci si sta insieme.  Sono sempre aperto a rendere le regole più efficienti, efficaci; ma non possiamo unilateralmente dire che le regole non sono per me quest’anno e per i prossimi cinque”.

Ma anche dal fronte interno arrivano le frenate allo scalpitante segretario del Pd, aspirante al ritorno a Palazzo Chigi a qualunque prezzo. Il ministro dell’Economia, Piercarlo Padoan, liquida così la sua proposta: “È un tema per la prossima legislatura”. E il ministro per lo Sviluppo, Carlo Calenda, avverte in un’intervista al Corsera: “Aumentare il deficit è un rischio da prendere solo se si spinge su investimenti, privatizzazioni e riforme”. Poi, a margine di un convegno sull’energia, spiega ulteriormente: “Le proposte su una revisione del fiscal compact mi convincono se sono articolate come un piano industriale concreto che, puntando su pochi fattori di crescita del Paese, sia in grado di accelerare il processo oggi in atto, cioè agganciare la domanda internazionale”.

Il baldo fiorentino aspirante al posto di Gentiloni ha reagito alla sua maniera: con l’aggressione verbale, anche volgare, al meno simpatico dei suoi critici,  Dijsselbloem. Aggrappandosi a una battuta fatta dall’olandese alcuni mesi fa sulla falsariga di un detto popolare (“non si possono concedere crediti a chi dilapida i soldi per andare a donne”), gli ha replicato: “Noi le donne non le paghiamo, altri invece sì”. Non è un linguaggio da  aspirante premier, ma da capopopolo di paese. Ma questo si merita il gregge di signorsì che popola il Nazareno e che attualmente siede nei banchi del parlamento sotto le insegne del Pd.

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