Il sinallagma che tiene Cinquestelle e Leghisti uniti al governo

di SERGIO SIMEONE*

Sinallagma. Questa strana parola, sconosciuta ai più ma ben nota a quegli studenti di giurisprudenza che abbiano studiato con normale diligenza il diritto privato, può servire a spiegare l’impasse in cui frequentemente si trovano i Cinquestelle e la Lega nell’attuazione del programma di governo.

Ma facciamo un passo indietro. Sono stati proprio i pentastellati a precisare, mentre stava per nascere il nuovo governo, che esso si sarebbe fondato non su di un’alleanza ma su un contratto. Tanto per sottolineare che il movimento fondato da Grillo e la Lega sono politicamente diversi e perseguono obiettivi diversi , talvolta addirittura contrapposti . Non potevano pertanto dar vita ad un’alleanza (che richiede una condivisione di obiettivi e la ricerca di compromessi circa il modo di perseguirli). E’ solo con un contratto che i contraenti possono mirare ad obiettivi distinti e talvolta addirittura contrapposti e rimanere al tempo stesso uniti. Ma per conseguire questo risultato occorre non un contratto qualsiasi, bensì un contratto sinallagmatico. Che si fonda cioè su una prestazione e una controprestazione così interconnesse tra di loro che se cade l’una (ad esempio per inadempienza di una parte) cade anche l’altra ed il contratto si scioglie. La permuta (ovvero lo scambio di un bene o di un servizio contro un altro bene o servizio) è un esempio classico di questo tipo di contratto ed è quello probabilmente più vicino (pur nella sua atipicità) all’accordo stipulato tra Di Maio e Salvini.

Questo tipo di contratto, però, se ha il pregio di riuscire a tenere insieme soggetti politicamente distanti, ha il difetto di conferire grande rigidità all’accordo su cui si regge il governo giallo-verde: non appena uno dei contraenti accenna alla intenzione di modificare o addirittura bloccare un provvedimento proposto o caldeggiato (e presente nel contratto) dall’altro contraente, questo può denunciare l’inadempienza contrattuale e costringere l’altro ad ingoiare il rospo, pena rappresaglia contro i provvedimenti caldeggiati dall’altro o la rottura del contratto.

Le cose vanno bene finché si tratta di regolare i rapporti tra stati maggiori, costituiti perlopiù da persone di stomaco forte, pronte ad ingoiare tutto pur di conservare il potere. Diventano più complicate quando toccano sensibilità o interessi fortemente sentiti dalla base elettorale e che trovano spesso riscontro nella rappresentanza parlamentare. In questi casi si crea una forte tensione che si esprime in proposte di emendamenti da parte di gruppi di deputati o senatori, per cui i capi politici devono ricorrere alla disciplina di partito o alla minaccia di sanzioni per “domare” le ribellioni.

Ma allora non c’è proprio modo di uscire dalla trappola del sinallagma? Un modo c’è, anzi c’è già stato e speriamo ci sia anche in futuro: l’intervento della società civile. E’ la società civile infatti che si è riversata in piazza Castello a Torino (più che la Lega, molto timida nel palesare la sua posizione pro TAV,… per ragioni di contratto), che probabilmente costringerà i cinquestelle a rivedere la loro rigida posizione sulla infrastruttura italo-francese. È stata l’indignata reazione della società civile (più che le perplessità appena sussurrate dei cinque stelle … per ragioni di contratto) a fermare il DL del leghista Pillon, che voleva annullare in un sol colpo conquiste civili realizzate dai movimenti per la parità di genere con lotte durate decenni.

Le prove ex contrario (volendo continuare ad utilizzare il linguaggio dei giuristi) la stiamo avendo in queste ore: il disegno di legge “Salvini” sulla sicurezza ha suscitato molti casi di coscienza tra i cinque stelle e la dura opposizione parlamentare della sinistra. Ma, in mancanza di un sussulto della società civile (fatta eccezione per il pronunciamento del movimento studentesco) gli uni e l’altra sono stati facilmente tacitati con il ricorso al voto di fiducia.

Da quanto detto nasce anche una lezione per chi si sforza di far rinascere la sinistra: o questa riesce ad entrare in sintonia con i movimenti che nascono dalla società civile o è destinata all’irrilevanza anche nei prossimi anni.

*Sergio Simeone, docente di Storia e Filosofia, è stato sindacalista della Cgil Scuola

Commenta per primo

Lascia un commento