Il Pd celebra il decennale di un altro partito: quello sognato e fondato da coloro che Renzi ha indotto a lasciarlo

di ENNIO SIMEONE – Annunciata come una festa, la celebrazione del decennale del Pd programmata per oggi al teatro Eliseo di Roma sarà contrassegnata  soprattutto dal “lutto” della estromissione di coloro (ad eccezione di Veltroni) che quel partito lo hanno fondato. Che, semplicemente, non sono stati nemmeno invitati alla manifestazione. Estromissioni o assenze provocate dall’impronta autoritaria e arrogante impressa da Matteo Renzi e da coloro che con servile acquiescenza lo stanno assecondando nella trasformazione in un partito personale che ha come unico obiettivo il potere nei posti di comando del paese e lo scivolamento verso politiche di centrodestra. E stride con la realtà lo slogan di Renzi, secondo cui “il Pd è oggi l’argine più forte all’estremismo delle destre e al populismo a 5 stelle”, visto che il populista n. 1 oggi in Italia è proprio lui. La conferma sta nella ennesima mistificazione della realtà con il ricorso alla formula della contrapposizione fittizia agli “altri”, cine quella contenuta nella e-news della vigilia: “il Pd ha un punto di grande forza, che nessun altro dei partiti italiani può vantare: non appartiene a nessuno. Non appartiene a un proprietario, a un’azienda, a un blog o a un leader. È una comunità in cui tutti possono sentirsi a casa e nessuno è padrone”. Salvo poi ad essere schiacciati se la si pensa diversamente da lui.

Comunque l’imposizione della legge elettorale-catenaccio, che nega agli elettori la possibilità di scegliere le persone da mandare in parlamento, gli addii di due ex segretari come Guglielmo Epifani e Pierluigi Bersani, di un ex presidente del Consiglio come Massimo D’Alema, e l’assenza di Romano Prodi (che in due elezioni politiche ha battuto Berlusconi) hanno già rovinato la”festa”. Lo ribadisce senza mezzi termini Arturo Parisi, ex ministro ed ex braccio destro di Prodi: “Il decennale, invece di un giorno di festa, s’è trasformato in un giorno di lutto” anche per la riforma della legge elettorale, la cui approvazione viene definita “grave nel merito e nel metodo”. Parisi ricorda: “Quando Berlusconi c’impose il porcellum, almeno non lo fece con la fiducia. Se penso al Referendum del 18 aprile del 1993, dal quale tutto è iniziato – conclude Parisi – sento che la primavera della democrazia governante che allora sognammo ha incontrato il suo autunno”.

E non bastano le giustificazioni imbarazzate di Maurizio Martina (vice segretario del Pd,  come foglia di fico dell’ex “rottamatore”) e del ministro Dario Franceschini – secondo cui il Rosatellum “non è la legge migliore ma l’unica possibile”, addirittura capace di “agevolare la ricomposizione del centrosinistra”- a far correggere il tiro a Romano Prodi, che, richiesto di un giudizio sul Rosatellum bis, liquida l’argomento rispondendo: “Non ne parlo nemmeno sotto tortura”. Senza peli sulla lingua invece, come al solito, Massimo D’Alema, anche lui tra i fondatori del Pd, e oggi in prima linea nel Mdp. “Non ci sono le basi per un’alleanza elettorale con il Pd. I nostri elettori non ci seguirebbero, piuttosto ci saluterebbero. Anzi il Rosatellum allunga la distanza tra noi e il Pd, che si era già stabilita con provvedimenti come il Jobs act e la Buona scuola”. D’Alema non fa sconti nelle sue prese di posizione: ecco perché è usato da Renzi come facile bersaglio nella sua ricerca degli applausi. Ma le mezze misure e i contorcimenti dialettici, contro figure come l’attuale padrone del Pd, servono a ben poco.

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