IL FUOCO DI PUGLIA

di ENNIO SIMEONE

E tre! Dopo le elezioni amministrative del 2016 (quando dovette cedere le poltrone di sindaco di Roma e di Torino ai Cinquestelle), dopo il referendum del 4 dicembre (quando il 60 per cento degli italiani dissero No alla sua riforma costituzionale, con annessa legge elettorale), domenica 25 giugno è arrivata per Matteo Renzi la terza cocente sconfitta della sua carriera di leader: la perdita, a beneficio del centrodestra, del governo di città storicamente amministrate da sindaci di sinistra o di centrosinistra. E la ricerca di attenuanti, o di bilanciamenti con lo stentato successo conseguito in qualche città grazie al camuffamento in liste civiche di dubbia caratterizzazione, non fa che immiserirne il valore.

Insomma il ri-segretario del Pd sta confermando il giudizio di chi ha sempre pensato che la sua resistibile ascesa – avvenuta tre anni fa sotto la spinta emotiva di un fantasioso quanto effimero slogan propagandistico (“rottamazione”) e cristallizzata per due anni con il controllo autoritario di un pugno di dirigenti e un notevole nucleo di parlamentari ricattati con la continua minaccia di elezioni anticipate – sia stata un fuoco di paglia che ha abbagliato l’Italia e (in certa misura) anche l’Europa nel maggio del 2014 con il 40 per cento ottenuto alle elezioni europee.

Domenica scorsa l’unica vera eccezione alla scivolosa china che ha spinto nella polvere dei ballottaggi i candidati sindaco del centrosinistra si è avuta in Puglia, dove il centrosinistra ha come punto di riferimento quel presidente della Regione, Michele Emiliano, che al congresso del Pd ha contrastato Renzi e vanta la vittoria, oltre che a Taranto, persino a Lecce, dove ha sempre governato il centrodestra. E dove i Cinquestelle hanno conquistato centri come Canosa, Mottola e Santeramo, in pendant con Carrara, storica roccaforte toscana della sinistra, e Guidonia e Ardea nel Lazio, o Fabriano nelle Marche, anche se pagano il prezzo dei gretti attacchi interni alla popolarità di Pizzarotti (falliti) e agli incerti primi passi di Virginia Raggi a Roma (laceranti).

Ma gli italiani non possono dover scegliere tra fuoco amico e fuoco di paglia. E c’è il rischio che alle prossime elezioni politiche vengano tentati da una terza via: quella, stagnante, della conservazione.

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