QUEST’ITALIA/ di ENNIO SIMEONE/ Il gioco dei “benaltristi” nella partita delle riforme

Italiadi Ennio Simeone/

Si sente dire spesso nei vari talk show da politici e opinionisti che “agli italiani della riforma del Senato e delle beghe della politica importa poco” perché di “ben altro” sono preoccupati: immigrazione, lavoro, corruzione e via elencando. A dirlo sono, soprattutto, quei politici che, così, cercano forse di farsi perdonare che se ne occupino. Ma non c’è niente di più falso (perché in realtà gli italiani se ne interessano, e se ne interesserebbero ancor di più se venisse usato un linguaggio più semplice e chiaro)  e  non c’è niente di peggio (perché diffondere questo messaggio torna utile soltanto a chi  cerca di far passare l’approvazione di una cattiva riforma istituzionale avvolgendola nella nuvola della incomprensione o della mistificazione, come se si trattasse di roba da “addetti ai lavori” o da politicanti).

Al contrario: è necessario far capire (e la sinistra del Pd lo sta facendo poco e male, per di più frenata dai canali di una comunicazione pigra o ostile quanto il tentativo di imporre questa riforma, soprattutto se intrecciata alla legge elettorale “Italicum”, sia pericoloso per il nostro paese. E non è questione – come stoltamente vanno dicendo anche Salvini e Grillo – che riguardi meschini contrasti interni al Pd. E’ questione che riguarda – come abbiamo insistentemente ricordato in questi mesi – il futuro della nostra democrazia e quindi della gestione dello Stato in tutti i suoi aspetti. Infatti la regressione del Senato a camera di consiglieri regionali a doppio servizio, con la concentrazione dei poteri decisionali nella sola Camera dei deputati – che si andrebbe a formare con una legge elettorale che sottrae quasi del tutto la scelta dei candidati al voto dei cittadini lasciandone la nomina nelle mani di chi dirige e controlla il partito, al quale, con un vantaggio elettorale persino molto risicato, verrebbe assegnata la maggioranza assoluta – significherebbe mettere le sorti del Paese nelle mani  di una sola persona, cioè il capo di quel partito.

E’ evidente dunque il rischio di uno scivolamento verso una forma di dittatura personale, perché verrebbero a mancare i contrappesi istituzionali di garanzia. Cioè dalla nomina dei giudici costituzionali a quella dei  vertici degli organismi economici, fino alla scelta del presidente della Repubblica: tutto dipenderebbe dal capo di quel partito e dagli uomini che lui ha selezionato per avallare le sue decisioni nell’unica sede parlamentare titolare delle scelte decisive.

In queste ore e in questi giorni si sta giocando in Senato una fase importante e delicata di questa partita. Dire che “agli italiani interessa ben altro” è una bestemmia.

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